QUEL ROMANZO E LA FERITA APERTA NEL PAESE

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Al romanzo – che per forza di cose ha una sua necessità  narrativa, nutrita dalla realtà  ma anche autonoma, quando serve, e deve riannodare tutti i fili di una vicenda complessa nel capitolo finale – si contrappone il bisogno di verità  che dura da più di quarant’anni, ed è stato deluso, mandato a vuoto, calpestato per tutto questo periodo, e ormai in modo irrimediabile. Non è la vicenda che non sopporta il romanzo, perché qualsiasi storia si può raccontare, per parole o per immagini. È questo furto di verità  che non tollera letteratura. Finché la ferita non sarà  chiusa. Non ci vuol molto a capirlo.
Naturalmente c’è invece chi benedice il romanzo, proprio perché una lettura letteraria con tutte le licenze proprie del genere sposta la vicenda in un’altra dimensione, con codici diversi da quelli giudiziari e politici. E quarantatré anni dopo, con un racconto ben confezionato di una tragedia italiana si può essere tutti d’accordo, finalmente, anche quelli che non riescono invece a riconciliarsi con la realtà  italiana, dove depistando, cancellando e rinviando si è infine giunti a decidere che non si potevano e non si dovevano più trovare colpevoli per la bomba di piazza Fontana. Questa ostinazione finirà  tra non molti anni, probabilmente, con la scomparsa di una generazione che è stata segnata pesantemente da quel 12 dicembre, dalle stragi di Stato, e da una strategia della tensione che dal 1969 al 1980 contò 12.690 attentati, con 362 morti e 4490 feriti. Un pezzo di generazione si è colpevolmente perduta anche per reazione a quell’accaduto, e alla condotta dello Stato. Un’altra parte ha poi deciso di difendere lo Stato dal terrorismo nonostante piazza Fontana: difenderlo per poterlo cambiare, difendere le istituzioni anche se non ce ne si fidava, per difendere semplicemente la democrazia. Ecco perché il segno umano, civile e politico di quella data è ancora presente, come il bisogno di verità .
Ci sono poi, e prima di tutto, le famiglie delle vittime, che si portano addosso un danno non privato ma personale, immenso e irreparabile. È soprattutto per loro che pesa la mancanza di giustizia, che è mancanza di responsabilità , venir meno del dovere di accertare la verità . E per loro il presidente della Repubblica Ciampi definì “dolorosa” la sentenza della Cassazione, “perché è triste – disse – vedere come la giustizia ha dovuto constatare che, nonostante tanti anni di investigazioni e processi, non è stato possibile acclarare i fatti, stabilire le responsabilità  e trarne le conseguenze su chi fossero i colpevoli”.
Se ci manca la Verità  definitiva di uno Stato che su piazza Fontana ha voluto essere “muto, cieco, sordo e colpevole – come ha scritto Giuseppe D’Avanzo – , incapace di correggere se stesso e di far luce nei sotterranei della sua storia”, ci sono però verità  parziali, specifiche e particolari che abbiamo tutti il dovere di difendere e di non lasciar corrompere dalla corrività  dei racconti, dalla banalizzazione delle storie, dall’interesse postumo a confondere ciò che è stato accertato. Credo che sia questa la ragione che ha spinto Adriano Sofri a scrivere un instant-book elettronico sulla strage di Milano. Nulla di privato, quanto di più pubblico possibile, invece: i fatti e la loro realtà . Non una semplice occasione di cronaca: l’uscita di un film (di Marco Tullio Giordana) che si appoggia come spunto ad un libro (“Il segreto di Piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli). Piuttosto la preoccupazione che il veicolo popolare del film – e del libro rilanciato dal film – potessero portare dentro il senso comune italiano nuovo o immemore una falsa percezione sui colpevoli e sulle vittime, confondendo quegli elementi di verità  che sono stati definiti come tali, e non dobbiamo lasciar disperdere.
Come ormai sappiamo, il libro di Cucchiarelli sostiene la tesi – che non ha alcun riscontro giudiziario, o documentale, ed è stata esclusa dalla magistratura – di una doppia bomba, la prima portata da Pietro Valpreda alla Banca dell’Agricoltura (Pinelli consenziente) per uno scoppio dimostrativo, dopo l’orario di chiusura, e la seconda innescata dai fascio-nazisti veneti protetti dai servizi italiani e stranieri, per ottenere la strage. 
Il film segue in parte questa traccia, poi la corregge. C’è una doppia borsa sotto il tavolo della Banca, la seconda vuole la strage e l’hanno fabbricata i fascisti veneti, la prima l’hanno portata gli anarchici, ma con una persona infiltrata dall’eversione nera. Il film costruisce se stesso su tre pilastri: il tormento e la solitudine del commissario Calabresi, la buona fede innocente di Pinelli, la colpevolezza dei gruppi nazisti che fanno capo a Freda e Ventura. In qualche modo, attraverso questo percorso, la vicenda filmica può pacificarsi. Come vorrebbe una delle scene finali, con il colloquio di fantasia tra Calabresi e il Capo dell’Ufficio Affari Riservati Federico D’Amato, dove il commissario appare ormai convinto che le menti della strage siano di destra e la manovalanza di sinistra, come le due bombe, mentre D’Amato assegna anche la prima bomba all’eversione internazionale di destra.
Soltanto che le verità  da noi conosciute – almeno quelle – chiedono di essere rispettate, scomode e testarde come sono. Come si può, quarant’anni dopo, sostenere che le bombe erano due, fuori da ogni riscontro giudiziario e documentale? E come si può riportare gli anarchici e addirittura Pino Pinelli – come fa il libro di Cucchiarelli – nella parte di sospetti, di complici involontari, ignoranti a metà  ma per metà  consapevoli di una tragedia di cui Pinelli è soltanto vittima, e innocente com’è ormai accertato?Io credo che Sofri si sia mosso soprattutto per difendere Pinelli, il quale come le altre vittime non ha dietro di sé nessuna lobby di protezione, nessuna struttura organizzata interessata e capace di chiedere e ottenere rispetto non soltanto per la persona e per la memoria, ma almeno per la verità . La “suggestione” del film poteva rilanciare, almeno in parte, la tesi assurda – documentalmente – del libro di Cucchiarelli sui due ordigni alla Banca dell’Agricoltura. È dunque opportuno che Sofri smonti la ricostruzione che sta alla base della doppia bomba, metta in fila le contraddizioni di Cucchiarelli sottolinei gli errori materiali di cui è costellato il libro (che tra l’altro riporta arbitrariamente Calabresi nella stanza da dove è precipitato Pinelli, mentre i riscontri dicono che non c’era): anche per lasciare a questo punto il film libero di svolgere una funzione civile come vogliono regista e produttore, riaprendo la discussione su quel 12 dicembre, come ha chiesto Scalfari. 
È opportuno per tutti, non per una parte ma per l’interesse generale. Si tratta della segnalazione dell’implausibilità  dell’ultima versione su Piazza Fontana, che può confondere molti, 43 anni dopo. La mancanza di una Verità  definitiva non può permetterci di annullare le verità  che faticosamente sono state accertate in questi anni. E la vergogna di una verità  giudiziaria che non c’è, non autorizza a spacciare per verità  ricostruzioni di fantasia, a meno che vengano presentate come tali: romanzi, appunto. Se non fosse che siamo tutti troppo in credito di verità  per accontentarci di un romanzo su una tragedia italiana che non riesce a finire proprio per l’incapacità  del nostro Stato di indicare alle vittime e a se stesso le colpe e le responsabilità . Dunque di dirci che cosa è accaduto, per colpa di chi e con quali obiettivi. Nient’altro.


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