L’Argentina le rivuole per scacciare la crisi

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Non solo perché è priva di una vittoria e della terra che chiede, ma anche perché non può trasformare in atto eroico quel gesto vile che la dittatura usò per distogliere l’attenzione della gente dalla fame e dal terrore, mandando a morire i soldati che aveva appena usato per sterminare i loro coetanei rivoluzionari.
Le Malvinas sono argentine. Lo sanno ma non lo dicono gli inglesi. Lo dicono ma non sono bravi a giustificarlo gli argentini. Costituitasi come stato solo 20 anni dopo l’occupazione inglese dell’arcipelago, l’Argentina vuole ciò che geograficamente è certamente suo, ma che politicamente è più inglese che mai: da un lato, perché alle Malvinas vivono i kelpers, pescatori inglesi dal dialetto meticcio, che preferirebbero passare all’Africa piuttosto che diventare argies. Dall’altro, perché la guerra ha messo l’Argentina dalla parte del torto agli occhi dell’Occidente.
In quei due mesi e mezzo dell’autunno ’82, l’invasione ordinata dal generale ubriacone Leopoldo Galtieri costò la vita a 649 argentini. Sparando missili che avevano il potere offensivo di un obice ottocentesco, volando con aerei rotti e disertando per fame, freddo e torture dei loro ufficiali, gli argentini riuscirono comunque a uccidere 258 inglesi, tra cui 3 pescatori. E con la sconfitta, la dittatura cadde nell’abisso della propria miseria, cedendo il passo alla democrazia e alla verità  sui 30mila desaparecidos.
Oggi il governo di Cristina Kirchner prova a salvare il principio, rigettando il metodo con un discorso da Ushuaia, il punto in territorio argentino più vicino alle isole. Ma è soprattutto la situazione economica a intromettersi: dietro al patriottismo argentino c’è il bisogno di petrolio e quello di distogliere l’attenzione dai tagli per la crisi, che da tre mesi viene segnalata anche dagli indicatori di qua.
Ultimamente la Casa Rosada ha tagliato sussidi, aumentato il protezionismo ed è intervenuta sul settore privato. Le importazioni sono quasi del tutto bloccate e le multinazionali (molte italiane) sono obbligate a reinvestire in loco gli utili, visto che gli è proibita la rimessa all’estero di quanto ricavato. Per ora il metodo funziona: i provvedimenti hanno colpito solo i ricchi e i poveri migliorano il loro potere d’acquisto. Ma durerà ? I detrattori, anche di sinistra, dicono di no, però in piazza per le Malvinas ieri è sceso tutto l’arco politico: dai fanatici guerrafondai ai sindacati operai. 
Il ritorno delle isole al paese «è parte della nostra guerra di indipendenza», spiega al manifesto il capo di un piccolo gruppo comunista. «Le Malvinas sono state il nostro primo amore», fa invece un reduce di guerra. Ma ci sperate davvero nel riaverle? Tutti dicono di sì, anche se il vento del Sud Atlantico fa stonare i tango.


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