UN MERCATO ALLO SBANDO

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C’è un altrettanto inarrestabile aumento del prezzo del carburante che nessuno riesce davvero a spiegare fino in fondo. C’è il superbollo sulle auto di lusso che come unico risultato ha portato (così almeno dicono i costruttori) al tracollo di un’intera categoria di vetture bersagliate due volte: una dalla nuova tassa e l’altra dai continui controlli da parte del fisco. C’è lo sciopero delle bisarche (quei veicoli che trasportano le vetture dalle fabbriche o dai grandi centri di distribuzione, nel caso delle case estere, fino ai concessionari) durato ben oltre un mese nell’assoluta indifferenza di quasi tutte le parti interessate, interrotto solo con la chiusura degli stabilimenti Fiat non più in grado di smistare le auto nei piazzali e il quasi immediato intervento del governo. C’è l’inascoltata denuncia della Federauto (l’associazione dei concessionari) secondo cui, tra i primi effetti di questa crisi, ci sarebbero circa diecimila posti di lavoro a rischio e tre o quattro aziende che chiudono ogni settimana. 
Ora, se le cose stanno davvero così. Se il settore automotive in Italia è davvero importante e trainante come dicono, non sarebbe il momento di correre ai ripari? Marchionne sostiene che nel nostro paese «il mercato si attesterà  nel 2012 a quota 1 milione 500 mila». Duecentocinquantamila vetture in meno rispetto allo scorso anno. Giusto la produzione di uno stabilimento.
Le anticipazioni sui dati delle vendite di marzo (saranno comunicati oggi alle 18) dipingono un nuovo tracollo. Un ennesimo ko annunciato dallo stesso numero uno della Fiat (-40 per cento anche se non è chiaro rispetto a quando). Numeri tutti da decifrare, però, perché a due giorni dalla chiusura del mercato il gruppo Fiat aveva una quota sotto al 20 per cento (a febbraio era del 28,3). Ma siccome proprio nelle ultime 48 ore alcune case riescono ad immatricolare fino al 30 per cento delle vetture dell’intero mese (i cosiddetti chilometri zero) è chiaro che il risultato finale potrebbe essere ben diverso (ma sempre vicino al -30 per cento). Diverso nei numeri ma non nella sostanza perché immatricolare tutte quelle auto in soli due giorni continua ad essere la chiara indicazione che il sistema non regge più. O meglio che il collasso è vicino e che forse sotto certi punti di vista, almeno per alcuni, sarebbe auspicabile. Per chi produce e vende principalmente in Europa il crollo dei grandi mercati del vecchio continente può fornire la ragione “tecnica” per la chiusura di qualche stabilimento. Per gli altri, l’opportunità  di scendere in campo dove finora non avevano mai potuto mettere piede. E in questo nuovo scenario le domande sarebbero: 1) Un altro costruttore, con relativa fabbrica, ce la farebbe in Italia? 2) Cosa potrebbe fare l’Alfa, per esempio, in mano alla Volkswagen? 3) Il fatto che sempre i tedeschi (Volkswagen o Mercedes) vogliano comprare la Ducati non vuol dire anche che nonostante tutto l’Italia e i suoi marchi sono ancora competitivi?


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