Cohn-Bendit “Io, ragazzo del ’68 ora ho paura d’invecchiare”

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Anche noi sessantottini diventiamo vecchi, l’anno scorso ho saputo di avere il cancro. Un caso facile a operare, ma ti piombano in testa la sensazione della vecchiaia, e la paura della morte. Così parla Daniel Cohn-Bendit, leader ed eroe del maggio ’68 francese ed europeo, e oggi leader dei Verdi europei. “Dany-le-rouge”, Dany il rosso, lo ha fatto in una straordinaria intervista-confessione uscita ieri sul settimanale tedesco Der Spiegel. 
«Era d’estate», racconta Cohn-Bendit, «con mia moglie viaggiavamo verso la Francia del sud per una vacanza, il mio medico mi chiamò sul cellulare. Per fortuna guidava mia moglie, non io. Cancro alla tiroide, operazione necessaria…il mio primo pensiero fu “adesso ci siamo, arriva la fase X, l’ultimo gioco, non importa quanto durerà “. Un confronto duro con l’avanzare dell’età , con la malattia, per l’ “eroe” che il 4 aprile compie 67 anni. «Solo dopo un po’ mi feci più realistico: se devi ammalarti di cancro, un nodo tumorale alla tiroide è come vincere al lotto, hai buone chance. Eppure è stato un taglio nella vita, una pagina voltata». La vecchiaia arriva così, anche se sai che puoi sopravvivere decenni, spiega Cohn-Bendit ai colleghi Markus Feldenkirchen e René Pfister. Ti accorgi che devi imparare a invecchiare con dignità . «Arriva la sensazione di perdere forze, e la gioventù, cioè quello stato d’animo «ovvio per la mia generazione» quando esplose la rivolta. «Ma decisiva è la perdita della spontaneità . Non è del tutto negativa, se penso a quanti errori ho fatto da giovane. Arriva la ragionevolezza, o vista in senso negativo la ponderazione pesante della vecchiaia».
Il tempo passa anche per gli eterni rivoluzionari. «Quando compirò 68 anni farò un grande party, finalmente ne abbiamo tutti 68». Ma le forze vengono meno: «Ho rifiutato d’impegnarmi nella campagna elettorale francese», confessa Dany il rosso, perché «una campagna è stressante come un tour rock, per me diventa pesante». Pensare alla morte non è facile, per chi «a 23 anni aveva la sensazione di scrivere la Storia». «Ho paura della morte, ma vorrei vedere il mio funerale», confessa ancora Cohn-Bendit. «È un problema con cui non farò pace, non poter ascoltare i discorsi funebri, né vedere la cerimonia». Il tempo passa, si fanno i conti col passato. «Il ’68 come immagine fu una proiezione della società  che proponeva voglia e piacere di un’altra vita, ma la maggioranza di noi sessantottini era impacciata, limitata. Anch’io che appartenevo alla corrente libertaria». Cioè quella che sognava esperienze nuove ogni giorno, più che non le utopie totalitarie maoista o vietnamita. «I più di noi hanno fumato, naturalmente hashish, io non ho mai fumato canne, ma cucinavo biscotti all’hashish…purtroppo molti sessantottini hanno bevuto birra più che fumare, erano troppo tedeschi». Non ricorda, Dany, con quante donne è andato a letto da giovane: «Non importa quante siano state, certo più della media dei padri di famiglia tedeschi ma meno di quanto pensiate». Con lo sguardo indietro al tempo che non torna, emergono pensieri critici. L’idea dell’amore libero fu libertaria, un bisogno di rottura col presente, «ma naturalmente c’era dentro anche maschilismo, che portò a nuove forme di oppressione della donna». 
Allora c’era la pillola, oggi c’è il Viagra. «Non l’ho mai preso, non escludo di provarlo un giorno…il Viagra oggi, come la pillola allora, è una possibilità  di andare oltre le frontiere…ma chiediamoci se non rafforza la dittatura del fallo, un’idea di sessualità  che ritengo sbagliata». Ripensa su molto, Dany-le-rouge. «Mi spiace di aver paragonato in piazza la polizia francese alle SS, “Crs-Ss”, diceva il nostro slogan. Anni fa andai a scusarmi con l’allora capo della polizia di Parigi, era un ex resistente, mi commosse. “Capivamo voi giovani, ma dovevamo assicurare l’ordine”, mi disse». Nota che vive da 30 anni con sua moglie, «ma ci sposammo solo dopo 15 anni, nostro figlio aveva già  7 anni». Il figlio aiuta a capire il futuro: «Papà , mi dice, voglio diventare milionario entro i 30 anni, poi far del bene. Mi sembra giusto». E i veterani del ’68 sono «tutti restati amici». «Speriamo di aiutarci a vicenda quando non ci reggeremo più sulle gambe. Almeno avemmo una buona esperienza di vita collettiva».


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