il filo spezzato

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Quando si capirà  finalmente che l’assenza di tale funzione già  espone tutti noi al rischio di trovarci indifesi e pertanto di essere definitivamente sopraffatti? Si dirà  che tutto ciò è ormai consapevolezza diffusa. Ma capire non basta, se a questo primo passaggio non corrisponde un’adeguata reattività , uno scatto mobilitante, un approdo politico che delinei un’alternativa.
Ed è proprio qui, in questa urgente necessità , che si deposita e c’interroga il manifesto per un soggetto politico nuovo, pubblicato giovedì scorso su queste colonne. Un testo che raccoglie un crescente bisogno inevaso o deluso, cercando di comporlo in una proposta d’iniziativa politica. Un appello alle nostre solitudini, affinché si scuotano e, insieme, diventino una speranza organizzata, per evitare che la deriva le conduca sulle spiagge dell’ignavia.
Al furore con cui si aggrediscono i diritti sociali e si saccheggiano le condizioni materiali non corrisponde un’adeguata linea di difesa. 
O meglio, gli scioperi, le proteste, le mobilitazioni, i conflitti in ogni dove e in ogni forma sembrano non aver alcuna efficacia. E ciò accade perché la politica non riesce più a esercitare il suo ruolo di corpo intermedio, sconfitta e neutralizzata dal potere economico, oppure perché quest’ultimo ha ormai largamente inglobato il sistema politico, spogliandolo della sua funzione di rappresentanza?
Sia come sia, la linea di comando è oggi nella disponibilità  del capitale, direttamente o attraverso qualche prestanome. La metamorfosi è compiuta. La politica non è più quell’ambito di compensazione tra bisogni e interessi, è soltanto una variante attraverso cui si sviluppano le convenienze del mercato. Ed essendo quest’ultimo in condizioni non proprio brillanti, per rilanciarsi utilizza la politica per impossessarsi di quanto è nelle sue pertinenze, e cioè servizi e patrimoni pubblici.
Ma come si può contrastare questo ciclo che sembra inarrestabile? Con la politica, verrebbe da rispondere. Con una politica che si riappropri delle sue facoltà  e attribuzioni e ritrovi il senso delle sue responsabilità : che recuperi la sua ragione fondativa nel rapporto sociale e con esso si misuri e a esso risponda. Non più dunque attraverso deleghe e mandati che per inerzia finiscono spesso malintesi o inevasi: l’elenco delle delusioni e degli inganni potrebbe essere imbarazzante, oltreché doloroso.
C’è un intero mondo di passioni e intelligenze, di slanci e disponibilità  a cui rivolgersi. Un corpo sociale consapevole che sente il bisogno di difendersi e lottare, per sé e per tutti. Che tuttavia non si accontenta più di “essere” parte, esige di “sentirsi” parte. Partecipe cioè di battaglie e progetti condivisi e non imposti, anzi direttamente agiti e governati nel pieno di una democrazia realizzata: il referendum dell’anno scorso è lì a ricordarcelo. E’ a queste condizioni, misurandosi con questo immaginario, che si può riannodare il filo spezzato tra politica e società , e forse costruire una soggettività  nuova che si proponga di aprire promettenti prospettive.
E l’ambito in cui sperimentare e collaudare queste nuove forme politiche è nelle città  e nei territori, dove precipiteranno gli effetti drammatici delle varie manovre. Già  oggi, con la sensibile riduzione della spesa pubblica, le tutele sociali s’indeboliscono, i diritti si negano. Andrà  sempre peggio. Crescerà  l’impoverimento e diminuiranno le compensazioni. I Comuni e le Regioni diventeranno campi di battaglia, su cui si scaricheranno le tensioni e i conflitti. Per consolidare i bilanci, gli enti locali dovranno privatizzare i servizi sociali e vendere i propri patrimoni: e cioè consentire che si ottengano utili dalla sofferenza e consegnare spazi pubblici alla speculazione immobiliare.
Quel che ci attende è insomma un destino feroce. Ma se non ci si rassegna, può essere l’occasione per una generalizzata vertenza contro il governo, che le città  potrebbero suscitare insieme ai propri cittadini in difesa dei beni comuni, materiali e immateriali. Autogoverno dei servizi sociali e utilizzo di caserme e depositi per le esigenze collettive. Insomma, una campagna di disobbedienza che rivendichi l’autonomia nelle scelte locali e, nello stesso tempo, favorisca la partecipazione diretta al governo del territorio.
Nel nostro piccolo, nel X Municipio di Roma, qualcosa di analogo l’abbiamo realizzato. Sembrerà  impossibile, ma ha funzionato: funziona. Partecipazione politica, beni comuni, progettazione sociale, produzione culturale indipendente, autogestione dei servizi, bilancio di genere, diritti civili, requisizione di alloggi inutilizzati. Si può fare.


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