Libri smarriti nel flusso globale
Tre sono, per Beatriz de Moura, i talenti fondamentali di un editore: «la curiosità , che ti spinge direttamente al contenuto di un libro; la fascinazione per l’oggetto, il contenitore; e una vocazione che va formandosi e forgiandosi a mano a mano che si avanza nei distinti processi di costruzione di un libro». Cosa pensa questa protagonista dell’editoria spagnola (e non solo) del futuro del libro? La de Moura è convinta che il volume, quello di carta, si intende, non morirà : «le invenzioni migliori, le più grandi, sopravvivono. Nel corso dei tempi, l’umanità si è rivelata più saggia di quanto crediamo. Ha sempre cercato di non perdere niente per strada». C’è da sperare che il libro non sia uno dei rari oggetti smarriti per sempre.
Sul (sopravvalutato) concetto di originalità riflette Ian McEwan in un articolo sul «Guardian», prendendo spunto dalle angosce che colsero Charles Darwin quando si rese conto che un altro studioso, Alfred Wallace, avrebbe potuto insidiare la sua primogenitura nell’elaborazione della teoria dell’evoluzione. Fu proprio la corrispondenza con Wallace a spingere Darwin a dare molto rapidamente forma agli studi su cui lavorava da più di vent’anni. «Nei tempi moderni siamo giunti a dare per scontato nell’arte – in letteratura come in pittura e nel cinema – l’idea vitale e duratura di originalità », scrive McEwan, notando come questa porti con sé «una creazione quasi divina dal nulla». Il prodotto «porta il marchio della personalità », ragion per cui l’individuo «è proprietario del suo lavoro». Intorno a questo sistema, rileva l’autore di Bambini nel tempo, è nato un gigantesco corpus giuridico, cosicché «i paesi che non aderiscono alla Convenzione di Berna e ad altri accordi internazionali relativi ai diritti di proprietà intellettuale si trovano esclusi dal flusso di una cultura globalizzata». Ma fino a quando, si chiede McEwan, l’artista potrà continuare a considerarsi come «una chioccia che cova le sue uova»?
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