“Attenti all’effetto emulazione la disperazione è contagiosa”

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ROMA – «Il rischio è l’effetto emulazione. Questa lunga catena di suicidi di piccoli imprenditori e lavoratori licenziati, miscelata al senso di sfiducia nel futuro, può spingere altri a credere che togliersi la vita sia l’unica cosa da fare. Alcuni miei pazienti mi confessano di averci pensato». Kety Ceolin è una psicanalista e insieme con una ventina di colleghi ha aderito al progetto Terraferma, uno spazio d’ascolto e di supporto organizzato da alcuni imprenditori del nord est per cercare di arginare l’angoscia di chi è aggredito dalla crisi. Ha uno studio a Pordenone e uno a Mestre, e di storie di disperazione, soprattutto da parte di ex dipendenti, ne sente parecchie. Ogni giorno.
Chi sono le persone che si rivolgono a lei?
«Sono quasi tutti uomini, di età  compresa tra 30 e 60 anni. Operai soprattutto, ma anche agenti assicurativi o rappresentanti. Quando arrivano da me sono depressi, e l’ansia comincia quando ci sono le prime avvisaglie di crisi in azienda, quindi di una possibile perdita del posto. Chi ha 50 anni è disorientato, non sa come ricollocarsi sul mercato. È sconfortato dal timore di non farcela, dominato dal senso di vergogna per non riuscire a provvedere alla famiglia o semplicemente perché non riesce a portare fuori a cena la moglie. Il pensiero di dover chiedere soldi ai figli, poi, lo distrugge».
E i soggetti più giovani appena licenziati?
«Non vedono una via d’uscita, non riescono ad immaginarsi nel futuro prossimo, soprattutto quando hanno figli piccoli o in arrivo. Tutti siamo bombardati da notizie negative, imprese che chiudono, gente che perde il posto, la borsa in ribasso, lo spread. È difficile, in certe situazioni, essere ottimisti. La prima “cura” è parlarne, ed è già  un gran passo in avanti. Parlare è un modo per trattare la realtà  e non subirla. Da questo concetto è partito il progetto Terraferma, per aiutare ad aprirsi».
Perché questa difficoltà  di comunicazione?
«Chi perde il lavoro psicologicamente si sente solo e fragile. Qualcuno prova a confidarsi in famiglia ma poi viene qua e mi dice di sentirsi incompreso, perché anche i tentativi di minimizzare la situazione da parte della moglie o della compagna sono fonte di irritazione. Alti invece decidono proprio di chiudersi in se stessi, fanno finta di niente, non si confidano. Sono quelli più a rischio».
Per l’effetto emulazione?
«Esatto. Ci si identifica con quel piccolo artigiano che, dopo essere stato costretto a licenziare i dipendenti, si è tolto la vita. O con l’operaio suicida perché cacciato dall’azienda a causa della crisi. Stesse storie, stesse problematiche, stesse difficoltà . La disperazione può essere contagiosa».


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