IL MARCHIO DELLA DEMOCRAZIA

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E perciò dominato dagli Usa in quanto idealtipo della sintesi fra capitalismo e democrazia. L’America mondiale nel mondo americano. Egemonia assoluta, descritta dallo storico Walter Russell Mead come “opzione global only, in cui gli Stati Uniti sarebbero completamente sovrani, senza alcun sistema di controlli e bilanciamenti e nessuna responsabilità  per le nostre azioni se non verso noi stessi”. (…)
Oggi sappiamo che anche quel Dio ha fallito. Il marchio geopolitico del globalismo americano è scaduto. La sua sconfitta si riverbera nella Grande Crisi scaturita nel ventre della finanza a stelle e strisce. Una cesura storica. Essa investe la credibilità  della democrazia occidentale come sistema politico e della sua potenza leader come protagonista geopolitico. (…)
Secondo Amartya Sen l’idea della democrazia universale è “un frutto del XX secolo”. Solo nel Novecento l’Occidente capì che “un Paese non deve essere pronto per la democrazia, ma lo deve diventare mediante la democrazia”. In parole povere: la democrazia è figlia di se stessa. L’argomento del grande economista e moralista indiano sembra involontariamente adombrare la ragione per cui il XXI secolo difficilmente sarà  l’epoca della democrazia universale. Se la democrazia si diffonde per partenogenesi, se per crescere si deve nutrire delle proprie radici, potrà  al meglio procedere a macchia d’olio dalle sue terre d’elezione. Ossia dall’Occidente. Sfortuna vuole che vinta la fatidica battaglia contro l’Oriente rosso, l’Occidente residuo si specchi nella Francia di oggi, che ogni tanto s’illude di incarnare l’Occidente di ieri. Comunica grandeur, pratica petitesse. 
In attesa che dagli alambicchi di qualche geniale scienziato scaturisca la formula della democrazia universale, o del migliore regime che dovrà  superarla, la geopolitica ci invita all’esercizio della prudenza. Noi occidentali abbiamo il diritto di rivendicare la nostra democrazia, così come altri popoli e altre culture possono rifiutarla o declinarla secondo gusti che forse a noi non parranno troppo democratici. Abbiamo anche il dovere, se professarsi democratici ha un senso, di salvarla da noi stessi e dalle nostre velleità  di usarne come strumento d’influenza globale. 
Se vorremo continuare a sperare in un mondo più democratico, dovremo assorbire l’idea che non sarà  mai tutto democratico. Converrà  riconoscere che la diffusione dei nostri valori non è una guerra di religione, anche perché la perderemmo. E temperare laicamente l’universalismo dei princìpi con la constatazione che la demografia ci impone: siamo una minoranza dell’umanità , con tendenza al restringimento. Ammesso di poter convertire la maggioranza alla superiorità  del nostro marchio, dovremmo crederci un po’ più di quanto ci riesca oggi. Non perché sia scritto in un Libro, ma perché avremo confermato, anche contro alcune esperienze del nostro presente, che la democrazia funziona come fattore di pace, ordine, benessere e libertà .


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