Jorge Luis Borges, Fantasmi e sogni del maestro “Ho solo paura di non morire”

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«Non ho una mentalità  rigorosa e non sono un erudito, ma solo uno che si limita a leggere i libri che gli piacciono. Mi piace molto scrivere, ma ciò non significa che le cose che scrivo valgano qualcosa. Significa solo che, se non scrivessi, o meglio se non immaginassi le cose che potrei scrivere, allora mi sentirei un traditore del mio destino».

L’informazione
«Oggi c’è troppa informazione. Penso che si stesse meglio nel Medioevo, quando c’erano pochi libri, che però almeno venivano letti. Oggi tutti s’interessano di storia contemporanea. Si legge ciò che accade in Cina ma non si sa nulla del passato di quel paese. Tutti leggono i giornali, ma è come se leggessero solo l’ultimo capitolo di un lunghissimo romanzo. Parliamo in continuazione della Cina, dell’India, della Francia, della Svezia, dell’Inghilterra, dell’America, ma la maggior parte delle persone ne ignorano la storia».

La politica
«Credo ancora alla democrazia, ma sono una persona all’antica e un conservatore, quindi penso che sia meglio dirigere le masse. L’Argentina stava meglio quando era governata da un piccolo gruppo di persone che forse imbrogliavano un po’ quando facevano politica, ma consentivano al paese di crescere. Non so se le masse siano capaci di pensare la politica o di avere un qualunque altro pensiero. La maggior parte delle persone sono ignoranti in filosofia, letteratura, pittura, musica. Io ho qualche conoscenza in letteratura, ma su tutto il resto sono ignorante come gli altri. Perché mai le persone dovrebbero avere conoscenze in politica, che è una materia ancora più difficile? Perché possiamo ignorare l’algebra e invece dovremmo sapere per chi votare alle elezioni? Tutto ciò non mi sembra ragionevole. Ma forse la penso in questo modo solo perché la politica mi annoia profondamente. Posso interessarmi del tempo, dello spazio, dell’io, dell’identità  o dell’eternità . Tutto ciò m’interessa perché si tratta di problemi irrisolvibili, mentre per quanto riguarda le soluzioni immediate non ho niente da dire. Anche sul piano letterario».

La Biblioteca
«Nel 1955 mi hanno nominato direttore della biblioteca di Buenos Aires. Ne fui stupito perché non avevo mai pensato a quell’onore. Ma al contempo pensavo che di tutti quei libri io potevo leggere solo i titoli. Allora ho scritto una poesia per nulla lacrimevole su Dio che, facendo prova di una magnifica ironia, mi aveva dato al contempo i libri e il tedio. Pensavo agli 800.000 volumi della biblioteca e alla mia impossibilità  di leggerli». 

La letteratura fantastica
«Quando si parla di letteratura fantastica, si fa l’errore di pensare che letteratura fantastica significhi letteratura arbitraria. Ma non è così, perché la letteratura fantastica corrisponde a simboli e inquietudini che sono fondamentali. Quando scrivo un racconto fantastico non ho l’impressione di muovermi nell’universo dell’arbitrio. Ho invece l’impressione di scrivere qualcosa di essenziale, come se stessi scrivendo qualcosa di personale. Anzi è qualcosa di ancora più essenziale. Quando invento una storia, so che se tale storia mi obbliga a scriverla è perché essa corrisponde a qualcosa di profondo e forse d’inconscio». 

Il labirinto
«Il labirinto mi ha sempre attirato. Quando parlo del labirinto penso naturalmente alle “carceri d’invenzione” di Piranesi che sono dei veri labirinti. Penso ai labirinti onirici di Quincey, talvolta penso anche Kafka. Il caso di Kafka è strano, perché egli evita sempre la parola labirinto. Tuttavia, anche se la parola non figura nei suoi libri, il labirinto è pur sempre lì. A proposito del labirinto, non bisogna pensare solo alle stampe del passato, ai ricordi della mitologia greca, a Dedalo, a Joyce, a Quincey, ai Paradisi artificiali di Baudelaire. Occorre anche pensare che il labirinto è il simbolo più evidente, più inevitabile della perplessità . Per tutta la vita, non ho mai smesso di essere perplesso davanti all’universo. Allora nel labirinto ho trovato il simbolo della mia perplessità , specie di fronte a quello che per me è il problema filosofico fondamentale, vale a dire il problema del tempo e dell’identità  personale. Se lo risolvessimo, sapremmo tutto. Ma sarebbe un peccato, perché ciò significherebbe la morte della metafisica e della filosofia. Non ho scelto il labirinto per il suo carattere pittoresco o perché sia bello immaginare la pianta di un labirinto. L’ho scelto perché per me è una necessità ». 

La morte
«Ho paura di una sola cosa: l’eventualità  di non morire. Il calcolo delle probabilità  ci dice naturalmente che siamo destinati a morire. Ma potrebbe anche essere che nella nostra epoca sia nata una generazione di immortali. Noi quindi potremmo essere non so se dire degli eletti o dei dannati. In ogni caso, non vedo la mia morte come un avvenimento drammatico, piuttosto come una speranza. Come il personaggio di Stevenson, anch’io ho un tesoro nascosto, la morte. Se qui le cose non vanno troppo bene, andranno meglio altrove. O forse sarebbe anche meglio che altrove non ci fosse proprio nulla. Mi ritroverei annientato. Il che sarebbe perfetto».


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Nata a Tirana nel 1968, Ornela Vorpsi, dopo il pluripremiato Il Paese dove non si muore mai (2005), La mano che non mordi (2007) e Bevete Cacao Van Houten! (2010) torna ancora una volta a pubblicare con Einaudi, nella collana Arcipelago, con il romanzo Fuorimondo (pp. 156, euro 13,50).

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