L’Italia non cresce, si suicida

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Suicidi e tentati suicidi nel Meridione negli ultimi mesi si stanno moltiplicando: l’emarginazione sociale, la povertà  (spesso assoluta) crescente, la mancanza di prospettive e l’assenza di ammortizzatori sociali collegata alla difficoltà  di trovare lavoro (soprattutto per giovani e donna) stanno spingendo molti alla disperazione. Anche un lavoro in «nero», qualsiasi lavoro, diventa una chimera e l’unica certezza è farla finita. Di fronte alla tragedia della morte c’è chi sostiene che non bisogna fare polemiche e speculazione. Giusto. L’unica domanda che mi permetto di fare è: Pignataro, con la riforma Monti/Fornero avrebbe trovato un posto di lavoro non a tempo indeterminato, ma in grado di garantirgli almeno un reddito? Di più: licenziare un po’ di lavoratori con la devastazione dell’articolo 18 servirà  a far trovare lavoro ai tanti Pignataro del Sud d’Italia? La scritta sulla maglietta «Fornero al cimitero» non è ironica, ma balorda e falsa: l’inazione della Fornero sulle politiche attive del lavoro rischia di mandare al cimitero altre persone. Soprattutto lavoratori disperati, ma non solo, visto che la «moria» colpisce anche gli imprenditori, soprattutto nel Nord-Est.
Secondo Luca Zaia, governatore del Veneto, dall’inizio della crisi «sono più di qualche decina gli imprenditori che si si sono suicidati durante questo periodo di crisi». Non è una esagerazione, visto che i dati vengono confermati dalla Cgia di Mestre e dalla Caritas. Da questi dati drammatici è nata anche l’iniziativa di «Life auxilium», uno sportello aperto da Confartigianato di Aslo-Montebelluna. Certo le motivazioni dei suicidi nel Nord-Est sono differenti. Non c’è la paura della povertà  assoluta, di una caduta dei consumi, ma quella di una qualità  della vita diversa che diventa progressivamente pessima. È il decadere di un ruolo sociale che a sinistra forse può non piacere, ma va rispettato: il padroncino che si sente sempre più solo e non vuole tradire i suoi dipendenti, non vuole chiudere e cambiare vita. E, quindi, preferisce il gesto estremo, spesso facendola finita con un colpo di pistola o impiccandosi nell’azienda che è stata la sua vita.
In Italia questi suicidi coinvolgono soprattutto i titolari delle piccole imprese. Spesso persone che si uccidono non per la vergogna dei debiti, ma per l’impossibilità  di incassare soldi dallo stato o da altri privati. Spesso piccole cifre: da 100 a 500 mila euro. E questo perché piccolo sarà  pure bello, come diceva il Censis, ma è estremamente rischioso, soprattutto da un punto di vista finanziario. Per essere chiari: non si riesce a incassare i crediti, la scadenza dei pagamenti delle fatture si è progressivamente allungata: tre mesi, 6 mesi, 24 mesi. E lo stato (in senso lato, visto che spesso sono coinvolti gli enti locali) è il pagatore peggiore: secondo stime fondate deve liquidare almeno 70 miliardi di euro alle imprese private che gli hanno fornito merci o servizi. A Roma vengono chiusi cantieri a lavori praticamente ultimati perché il comune non paga. E Alemanno, con qualche ragione. da la colpa ai mancati trasferimenti dello stato centrale. E molte imprese falliscono, parecchi imprenditori si suicidano in una sorta di selezione naturale della specie. Nel 2011 la chiusura di imprese ai sopravanzato di oltre 40 mila unità  le nuove aperture. Anche su questo punto Monti non ha fatto nulla. Nel senso che non ha stanziato soldi per chiudere – almeno parzialmente – le pendenze finanziarie con le imprese.
Il colpo di grazia, poi, lo hanno dato le banche: Draghi (e la Bce) le ha inondate di soldi (all’1%) ma gli effetti sul sistema economico non si sono visti: nuovi crediti alle imprese non vengono concessi e i mutui alle famiglie stanno crollando. La realtà  è che mentre Monti «salva l’Italia», gli italiani muoiono. Purtroppo, in senso fisico. E a ucciderli non è l’articolo 18.


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