«Il nostro dossier sulla polizia è a disposizione»
Si tratta di un dossier che attraverso fotografie e riprese video vuole documentare «gli abusi e i crimini delle forze dell’ordine» contro persone in stato di fermo.
«E visto che la Procura di Torino non ci dà ascolto, il dossier sarà presentato, attraverso esposti, in tutte le Procure d’Italia» ha sottolineato Lele Rizzo, comitato di lotta popolare di Bussoleno, che – durante la conferenza stampa al Centro studi Sereno Regis – ha denunciato «una giustizia a senso unico». «La questione Tav è complessa – ha aggiunto Rizzo – e si articola in diverse sfaccettature, dallo spreco di soldi pubblici al rischio di infiltrazioni mafiose. Delegittimare e colpire solo il movimento significa ignorare questa complessità . E non riconoscere che la legge dovrebbe essere uguale per tutti, anche per gli agenti».
I fatti oggetto della contro-inchiesta sono collocati tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio del 3 luglio e si svolgono nell’area fra il Museo archeologico della Maddalena e l’inizio del bosco della Ramat. «Le immagini – spiega il movimento – ritraggono gli abusi commessi dalla polizia (reparto mobile e Digos) e dai “cacciatori” corpo d’élite dei carabinieri». In particolare, le violenze nei confronti di cinque persone, quattro uomini e una donna, condotti e trascinati oltre il cancello del Museo. Il pestaggio di un manifestante (Salvatore Soru di Maranello, arrestato quel giorno) è quello più minuziosamente documentato. «Tre carabinieri e due agenti di polizia si avventano su di lui, a terra, appena fuori dalla recinzione con bastoni, calci e manganellate». Un altro manifestante con il volto insanguinato è stato trasportato con l’elisoccorso al Cto di Torino dove ha ricevuto una prognosi di 60 giorni.
Secondo i No Tav «se l’ordinanza del 26 gennaio riporta centinaia di foto e video che incastrerebbero gli arrestati, altrettante immagini dimostrerebbero le brutalità commesse dai tutori dell’ordine, per le quali nessuna indagine è mai stata aperta». Il leader storico Alberto Perino ha chiesto che i comportamenti descritti nel dossier «siano perseguiti con altrettanta fermezza di quella con cui sono stati perseguiti i presunti reati commessi dai No Tav». «Sono i rappresentanti delle forze dell’ordine, molto più di noi a poter reiterare il reato», ha spiegato. Perino ha parlato di «premeditazione» nel comportamento delle forze dell’ordine: «Analizzando l’ordinanza di custodia cautelare vediamo che le accuse rivolte ai No Tav partono tutte dopo le 13,30. Dal materiale che abbiamo raccolto però risulta che le forze dell’ordine sono uscite alle 12,30 dall’area archeologica e sono andate a prelevare i dimostranti nel bosco». Per questa ragione, spiega Perino, quella dei manifestanti è stata «una reazione a questi gravi fatti» e «non è vero che i poliziotti si sono mossi per contrastare i No Tav. Anzi, prima degli scontri si sono resi non riconoscibili. Impugnando poi armi non convenzionali (bastoni, manici di piccone)».
Non si è fatta attendere la replica del procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli alle accuse: «I No Tav sbagliano, la magistratura lo ha detto ripetutamente e lo ribadisce: indaga su tutto – ha detto a margine della prima riunione della commissione antimafia del Comune – Certo è che molte volte vengono convocati denunzianti o presunte vittime e questi non si presentano. Questo non facilita le indagini».
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