Il papa: il confronto e non lo scontro

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«Sono convinto che Cuba, in questo momento specialmente importante della sua storia, sta già  guardando al futuro». Juventud Rebelde, il quotidiano della gioventù comunista, ha scelto ieri questo passaggio del discorso pronunciato dal pontefice Benedetto XVI al suo arrivo, lunedì scorso, a Santiago di Cuba come chiave interpretativa del messaggio lanciato dal papa tedesco al popolo – credenti o meno – cubano. 
«E’ una lettura sostanzialmente corretta», sostiene Enrique Lopez Oliva, professore di storia delle religioni e giornalista cubano. «Il discorso del pontefice, e ancor più la sua omelia, sono stati molto ancorati a un messaggio religioso, con solo cauti accenni a questioni politiche – libertà , diritti umani, necessità  di cambio politico. In sostanza, nonostante le forzature di una serie di media stranieri, Benedetto XVI ha difeso linea della chiesa cubana».
Ovvero che le riforme in via di attuazione da parte del governo sono una realtà  importante, anche se insufficiente. Che bisogna andare più avanti, in campo economico, ma anche sociale e politico. Insomma, la linea del confronto politico e non dello scontro con il presidente Raàºl Castro. 
«Fare di più, andare più avanti» è stato anche il senso dell’omelia di monsignor Dioniso Garcà­a Ibaà±ez, vescovo di Santiago. Ad ascoltarli, in prima fila – assieme a 250.000 cubani ammassati nella Piazza della Rivoluzione della seconda città  cubana e sede del santuario della Vergine de la Caridad del Cobre, patrona di Cuba, nota non a caso il quotidiano del Partito comunista Granma – vi era il vertice politico cubano quasi al completo, guidato dal presidente Raàºl. Tutti in guayabera bianca, attentissimi alla liturgia anche quando è cominciato a piovere. Alla fine della messa, il presidente ha salito le scale che portano all’altare e ha stretto la mano al papa. Un gesto, viene sottolineato , che va al di là  del protocollo e che dimostra la soddisfazione del presidente. 
Prima dell’inizio della messa, un uomo era riuscito ad evitare il massiccio schieramento di sicurezza e impossessatosi del microfono aveva urlato «abbasso il comunismo». Prontamente e rudemente agguantato dalla polizia, l’uomo è stato arrestato. E duramente percosso, secondo fonti della dissidenza. 
Fin dalla vigilia della visita papale, Elizardo Sà¡nchez de la Cruz, leader della Commissione cubana dei diritti umani (non riconosciuta ma tollerata dal governo), ha denunciato il fermo di circa centottanta dissidenti, con l’evidente scopo di impedire loro di partecipare agli eventi in programma nei tre giorni di presenza di Ratzinger nel paese e di esprimere il loro punto di vista. Anche le Damas de blanco, le oppositrici più note, mogli e parenti di «prigionieri di coscienza», riferiscono di defezioni improvvise dovute a probabili fermi di alcune militanti del gruppo. E soprattutto, le Damas lamentano che il pontefice abbia scelto di non incontrale, neanche per il «minuto» che avevano chiesto. A meno di cambiamenti di programma, che ieri pomeriggio apparivano improbabili. 
Nella sua intervista della settimana scorsa al quotidiano della Santa sede l’Osservatore romano, l’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega, ha affermato che oggi a Cuba «non vi sono prigionieri politici». La leader delle Damas de blanco, Berta Soler, sostiene invece che vi siano 46 detenuti per motivi politici.
Questa divergenza di numeri e di opinioni la dice lunga sull’atteggiamento e le scelte del vertice episcopale cattolico, ovvero la cautela nei confronti di gruppi e personaggi, come il premio Sakharov, Oswaldo Payà¡, cattolicissimo, che si battono «contro la dittatura dei Castro» e dunque sono favorevoli a un cambio secco di regime, in piena sintonia con la politica degli Stati uniti e del nocciolo duro dell’esilio anti-castrista di Miami.
La punta di lancia politica della chiesa – che qui a Cuba definiscono «la destra cattolica» – sembra affidata al gruppo della rivista Espacio Laical, che non risparmia critiche radicali ai tempi e ai modi di attuazione delle riforme volute dal presidente Raàºl Castro, ma sempre attenta a tenere la porta aperta al dialogo e soprattutto fornendo un ponte con quella parte – in progressiva crescita – della diaspora cubana di Miami che si dice contraria all’embargo Usa e disposta – sotto precise condizioni – anche a fare investimenti economici nell’isola.
Per appoggiare la dissidenza e chiedere «la fine della repressione» si sono invece mobilitati i gruppi anti-castristi della Florida che hanno annunciato l’invio di alcune imbarcazioni al limite della acque territoriali cubane di fronte al malecà³n dell’Avana e che nella notte dovrebbero lanciare fuochi artificiali diretti allo sguardo di Bendetto XVI
Ieri pomeriggio, però, gli occhi erano tutti puntati sull’incontro privato tra il pontefice e il presidente Raàºl Castro.
I rumores che da giorni circolano qui all’Avana davano per sicura, sebbene non ufficialmente prevista, la partecipazione anche del fratello maggiore, Fidel.
A parte le fantasiose speculazioni su un annuncio ufficiale della conversione al cattolicesimo che il lider maximo dovrebbe affidare al papa (addirittura con la comunione), di certo la partecipazione di Fidel dovrebbe spostare il tema principale del colloquio dalla questione dei rapporti tra Santa sede e Cuba a livelli più densamente politici.
Sembra esclusa invece, a meno di sorprese, l’ipotesi ventilata di un incontro fra il papa e il presidente venezuelano Hugo Chavez, all’Avana per curarsi di un tumore: «non ho motivo per interferire con la sua agenda», ha detto Chavez alla tv venezuelana.
Una risposta in sostanziale sintonia con le parole e i toni del papa è venuta dal vicepresidente cubano Marino Murillo: «A Cuba non ci saranno cambiamenti politici ma aggiorneremo quanto necessario il modello economico».
Oggi per Benedetto XVI ultimo giorno a Cuba prima del ritorno in Vaticano e un altro bagno di folla nella piazza della Rivoluzione dell’Avana, sotto il grande ritratto del Che Guevara.


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