IL MUSEO DEI RECORD

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Parigi – Henri Loyrette ha scoperto il Louvre da piccolo, passeggiando con meraviglia e timore nelle ampie gallerie, come ci si avvicina a un luogo incantato. Nel gigantesco palazzo, che all’epoca non disponeva ancora dell’ala Richelieu, risuonavano i passi, le opere erano avvolte in una poleverosa immobilità , si intuivano secolari presenze e un alone di mistero che continua a ispirare tante leggende, da Belfagor fino al recente Codice da Vinci. «È un museo che accompagna una vita», dice ora Loyrette, storico dell’arte specialista dell’Ottocento, nominato nel 2001 direttore-presidente del Louvre, trentacinquemila opere, settantamila metri quadrati di superficie, quasi nove milioni di visitatori nel 2011. Numeri che confermano il primato mondiale del museo. In questi dieci anni, Loyrette ha rivoluzionato l’istituzione, aprendo al finanziamento privato, agli artisti contemporanei, all’uso di nuove tecnologie nei percorsi museali, inaugurando cantieri come le sale delle Arti dell’Islam, oppure progetti esterni, dal Louvre di Lens a quello di Abu Dhabi. Un manager? La parola non piace a Loyrette, 60 anni, seduto negli uffici del pavillon Mollien per presentare la mostra che si aprirà  tra qualche giorno, dedicata alla Sant’Anna di Leonardo appena restaurata. 
Un’opera rimasta incompiuta alla morte dell’artista, nel 1519, una forma di testamento artistico?
«Come diciamo nel titolo dell’esposizione, è l’ultimo capolavoro di Leonardo, il risultato di lunghe ricerche. Un dipinto che non solo ha influenzato l’iconografia dell’epoca ma ha ispirato artisti come Eugène Delacroix, Edgar Degas, fino a Max Ernst. Ha disseminato tracce nell’immaginario, se pensiamo ai lavori dedicati al quadro da Sigmund Freud. È anche un dipinto che ha un po’ sofferto della gloria della Gioconda. Per tutti questi motivi era importante presentarlo all’interno di un’esposizione, nella versione restaurata».
Ci sono state polemiche su questo restauro. Due membri della commissione si sono dimessi sostenendo che erano stati usati metodi troppo “aggressivi”. 
«Intanto bisogna ricordare che c’era una necessità  oggettiva di intervenire sul dipinto. Abbiamo nominato una commissione proprio per permettere agli esperti di confrontarsi. La restauratrice, Cinzia Pasquale, è stata prudente, gli interventi sono tutti reversibili. Ogni restauro provoca polemiche, ma sono soddisfatto del risultato. La Sant’Anna che apparirà  ai visitatori è un quadro rivelato nei toni e nell’intensità ». 
Cosa pensa della copia della Gioconda che il Prado ha ritrovato?
«Aspetto di vederla a Parigi, quando ci sarà  la mostra. Può essere interessante per lo studio di Leonardo, con questo paesaggio che non si conosceva. Mi conforta sapere comunque che tutti sono d’accordo nel dire che si tratta di una copia».
L’originale potrà  mai essere dato in prestito all’Italia, come periodicamente viene chiesto al Louvre?
«Non abbiamo mai ricevuto una richiesta formale da nessun museo, tutt’al più si tratta di iniziative private. Gli specialisti, anche italiani, sono d’accordo nel dire che la Gioconda non può viaggiare. È un dipinto estremamente fragile, esce dalla sua vetrina climatizzata e protetta solo una volta l’anno, per permettere di esaminare il suo stato di salute». 
Come spiega questo nuovo record di visitatori nel 2011?
«In parte, grazie all’aumento e alla diversificazione del turismo a Parigi, con i brasiliani che sono arrivati al secondo posto nelle nazionalità  dei visitatori del Louvre dopo gli americani. C’è poi un fenomeno nuovo, di cui siamo fieri: un visitatore su due ha meno di trent’anni. Abbiamo riportato i giovani nel Palazzo grazie a iniziative mirate, come l’apertura il venerdì sera. Infine, sono convinto che il successo del Louvre sia collegato alla fase di crisi. Nel museo non si contempla solo il patrimonio culturale, ma si accede ai grandi interrogativi della società ». 
La calca in alcune sale non è propizia alla contemplazione di cui lei parla. Esiste un problema di sovraffollamento?
«Sarebbe paradossale lamentarsi dell’aumento dei visitatori. Il problema, semmai, è come irrigare nel modo giusto l’immenso Palazzo. Alcune sale sono piene, altre molto meno frequentate. È per questo che stiamo studiando percorsi con Gps, audioguide, spostando alcune collezioni. Anche voi avete questo problema, penso per esempio agli Uffizi. Ma le racconterò un aneddoto». 
Quale?
«Una delle mie emozioni più forti l’ho provata davanti alla Venere di Urbino di Tiziano nella Galleria degli Uffizi. Era un giorno orribile, faceva caldo. Molti gruppi si spintonavano davanti alle opere. Conoscevo la Venere, ma in quel momento così poco propizio alla contemplazione è come se l’avessi vista per la prima volta. Come se Tiziano l’avesse dipinta per me».
Dobbiamo usare l’iPad o altri gadget per apprezzare l’arte?
«Sono convinto che la mediazione culturale, tra artisti e visitatori, sia essenziale per capire ogni dettaglio, e dunque apprezzarne il valore. In un quadro di Nicolas Poussin, ogni albero parla latino e greco. Le nuove tecnologie aiutano anche a creare percorsi alternativi, indirizzando un visitatore che verrebbe al Louvre solo per vedere la Gioconda, la Venere di Milo e la Nike di Samotracia, verso altre opere». 
Il Louvre continua a essere un gigantesco cantiere. 
«Bisogna ascoltare il genius loci, ogni luogo ci indica come muoverci. Ho solo ripreso la vocazione originale di questo Palazzo nel quale la modernità  è sempre stata integrata. Lo abbiamo visto con la Piramide di Ieoh Ming Pei. Ora sarà  uguale con i nuovi spazi creati nella Cour Visconti per il Dipartimento delle Arti dell’Islam. La vela disegnata dagli architetti Mario Bellini e Rudy Ricciotti non è un’aberrazione, corrisponde alla storia di questo luogo».
Dedicare nuove sale alle arti islamiche è una risposta al cosiddetto “scontro delle civiltà “?
«È una delle prime iniziative che ho chiesto di lanciare quando l’allora presidente Chirac mi nominò, nel 2001. Era qualche mese prima dell’11 settembre, ma già  mi sembrava una priorità  dissipare l’ignoranza che esiste sul mondo dell’Islam. Il Louvre ha oltre 18 mila opere, dal VII secolo fino al XIX secolo, dalla Spagna all’India. È un cantiere inedito. Lo Stato ha finanziato solo 30 dei 96,5 milioni di euro del costo totale. La parte del mecenatismo privato è per la prima volta preponderante». 
Si va verso il modello dei musei americani?
«Oggi il Louvre è finanziato per metà  dallo Stato e per metà  dalla biglietteria, dalle risorse commerciali e dal mecenatismo. Quando sono arrivato la proporzione era 75% a 25%. La trasformazione potrebbe essere un esempio anche per l’Italia. Lo Stato francese ha varato delle leggi di agevolazioni fiscali per il mecenatismo privato, creando così un meccanismo finora virtuoso. Temo che le sovvenzioni pubbliche continueranno a diminuire. Questa è la prospettiva che il Louvre e gli altri musei europei dovranno affrontare. Il mio compito è costruire un sistema di governance nuova che non sia quello di un’impresa commerciale, ma di una grande istituzione al passo con il ventunesimo secolo».


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