Scioperi e cortei per le strade Cavilli «tecnici» nei palazzi
Chi lavora capisce le leggi meglio di chi deve raccontarle, a volte. E quando si parla di diritti fondamentali – non solo l’art. 18, ma tutta la disciplina della «riforma Fornero» – vien normale scendere subito in sciopero e in piazza.
Le 16 ore decise dalla Cgil, ancor prima di essere «articolate» hanno dato il via libera a una serie di mobilitazioni che probabilmente covavano da giorni. Con una novità : i metalmeccanici restano l’anima e la struttura portante delle proteste locali, ma altra categorie stanno partecipando ora attivamente. Di più: in molti casi si sono aggregati anche iscritti ad altre sigle sindacali, anche se né Cisl né Uil hanno dato indicazioni in proposito. Ma questo conferma l’impressione iniziale: non serve un ordine di scuderia per capire che la «riforma» ha un bersaglio preciso: il lavoro dipendente in tutte le sue forme e con qualsiasi contratto.
Era accaduto esattamente dieci anni fa, quando tre milioni di persone arrivarono al Circo Massimo, a Roma, su indicazione dell’allora segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati. Era impossibile che un «disegno legislativo» molto peggiore non ricevesse oggi alcuna risposta.
Protagonisti più visibili della giornata sono stati quelli di Fincantieri. A Palermo hanno fatto sciopero – unitario – di 4 ore a inizio turno, con presidio esterno. A Castellammare due ore, anche qui unitarie. A Monfalcone un’ora, per fare l’assemblea informativa, ma insieme a quelli dell’Ansaldo. Ma ovunque hanno trascinato altre fabbriche e settori, da Nord a Sud, accomunando sia quelle che stanno in crisi che quante viaggiano benissimo sui mercati. Segno, anche questo, di preoccupazione «mirata», politica, contro il governo, non generica «paura».
In Sicilia un mare di iniziative tra Messina e Catania, mentre domani toccherà a Siracusa. A Chiavari (Genova), gli operai della Lames hanno scioperato per quattro ore. Quelli dell’Asso Werke di Fornacette, a Pisa, hanno improvvisato un corteo che ha bloccato la statale nell’ora di punta. A Torino, stesse scene per la Graziano, i cui dipendenti sono sciamati per Corso Francia. A Livorno alcune centinaia di lavoratori si sono dati appuntamento alla rotonda davanti al cantiere Benetti, bloccando a tratti la circolazione. Si potrebbe andare avanti così per pagine.
Ma il fronte sindacale ha anche un versante «di palazzo». E vede molto attiva la Cisl. Che ora sembra avere l’incarico – dopo la scesa in campo, l’altroieri, persino del Vaticano («i lavoratori non sono merce») – di trovare la gabola «tecnica» che permetta al governo di mantenere l’essenza delle modifiche all’art. 18 e al Pd di poter far passare in Parlamento qualche modifica da sbandierare come «vittoria».
Impresa difficile, ma non impossibile per vecchi volponi democristiani. Il tema spinoso riguarda i licenziamenti per «motivi economici». Se all’azienda è concesso di mentire senza pagar dazio – il testo del governo esclude in ogni caso la «reintegra», obbligando a versare soltanto un indennizzo – è chiaro che chiunque utilizzerà soltanto questa motivazione per cacciare qualcuno. Monti è stato dunque costretto a «garantire» che il governo «vigilerà contro gli abusi». Il problema è come farlo, perché una cosa è il dire, tutt’altro è la fantasia italiana per i giri di parole che nascondono una realtà opposta.
A dare prime indicazioni sulla possibile soluzione è stato ancora una volta Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, per una volta nei panni di «pontiere» verso la Cgil. «Bisogna capire – ha affermato – se il licenziamento è economico oppure è una millanteria dell’azienda. Allora, l’unica tecnica da usare è prevenire a monte, attraverso qualcuno che lo certifichi. Lo può certificare l’Ufficio del lavoro, aiutando il giudice a dare la sentenza». Parole, naturalmente. Basta pensare al povero funzionario dell’ufficio del lavoro – sottopagato e magari anche minacciato di licenziamento a sua volta – passare i cancelli di una grande impresa e chiedere «è per motivi economici?». Secondo voi, quante possibilità ha di uscire di lì senza essere stato convinto? Altra cosa, ovviamente, è il giudice. E questo vogliono escludere…
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