«Ma è vero che il papa sta per venire a Cuba?»

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Oggi i cubani sembrano molto più presi da altri problemi che dalla visita papaleAgghindata con luci e colori brillanti in un quartiere della periferia avanera la pasticceria La Caridad ha aperto i battenti da pocoQuesta attività  privata nuova di zecca occupa il locale anteriore di una modesta casa, ma basta vedere il suo aspetto e le sue offerte per avvertire che nutre aspirazioni di grandezza.
A pochi isolati, nello stesso quartiere lontano dal centro, funziona il lussuoso ristorante cubano-italiano il Divino, piazzato sulla terrazza di una mansion di stile campestre-coloniale. Fra le sue attrazioni c’è anche quella di essere la sede del Club dei sommellier di Cuba, che poggi anche sull’esistenza di una favolosa cantina in cui riposano varie migliaia di bottiglie di vini italiani, spagnoli, francesi, cileni, australiani, alcune di grandi annate e prezzi da capogiro…
Per le strade di quella stessa zona della capitale si contano a decine i venditori ambulanti di frutta, bigiotteria, articoli industriali, spuntini veloci.
Attività  come queste e altre fra quelle permesse dalle recenti leggi destinate ad ampliare e sostenere il cosiddetto «lavoro per conto proprio» e anche la contrattazione di lavoratori da parte dei privati, fioriscono negli angoli più inaspettati e a volte periferici del paese, come un’esplosione di capacità  e necessità  per diversi decenni rinviate e demonizzate dal centrallizatissimo modello economico socialista, che in altri tempi le proibì e per anni le combatté come se fossero il nemico (almeno di classe).
Giusto in uno di questi esercizi commerciali emergenti, mentre aspettavo di essere servito, uno dei clienti chiedeva alla persona che era con lui qualcosa che, in quell’ambiente di efficienza e desiderio di prosperare, può rivelare molto bene i modi di pensare che oggi si rincorrono nell’isola caraibica: «Senti un po’, ma è vero che alla fine il papa viene a Cuba?», domandava quella persona all’altro, e l’altro gli dava una risposta rivelatrice della situazione: «Mi pare di sì». Fra i due clienti, intanto, avevano consumato per un totale di 150 pesos cubani, qualcosa come un terzo del salario medio statale.
Quattordici anni fa, quando si stava approssimando la visita a Cuba del papa Giovanni Paolo II, probabilmente a pochissimi cubani sarebbe venuto in mente di fare una simile domanda. Tutti sapevano che veniva il papa e il giorno preciso del suo arrivo e, per di più, nutrivano qualche attesa per ciò che poteva provocare o lasciarsi dietro la sua visita. Però fra quei mesi del ’97 precedenti all’avvenimento e i giorni di oggi, vigilia dell’arrivo di Benedetto XVI, la mentalità  dei cubani sembra essere cambiata molto di più di quanto sia possibile raccontare.
Qualche settimana fa, concludendo la visita pastorale fatta per tutto il territorio nazionale dall’immagine della Vergine del Cobre, patrona di Cuba, la gente ha mostrato un fervore religioso, o quantomeno una curiosità , che sembrava impropria per un paese in cui si è promossa la pratica dell’ateismo scientifico come politica di stato. Nelle strade, nelle piccole cappelle o nelle chiese rinomate, le persone si sono riunite per avvicinarsi alla vergine e ascoltare i messaggi dei preti cattolici. La chiusura della peregrinazione è avvenuta davanti a una moltitudine raccolta in una grande avenida avanera prossima alla cattedrale.
Il sentimento religioso, da molti mantenuto in segreto durante anni, risulta, quindi, una realtà  incontestabile. Ma, e la visita del papa?
A differenza di quanto accaduto fra il ’97 e il ’98, quando si avvicinava e poi si realizzava l’arrivo di Giovanni Paolo II, oggi i cubani hanno in molti casi gli stessi e, perfino, nuovi problemi. Solo che in quel tempo era ancor molto recente l’eliminazione delle discriminazioni politiche e sociali nei confronti dei cittadini che nutrivano un credo religioso, mentre una coltre di immobilismo era caduto sulla società  cubana. Ora, carica di preoccupazioni terrene, le gente sembra aspettarsi meno (forse solo una benedizione celestiale) dalla visita del papa e molto di più dalla propria capacità  e dal proprio zelo. E’ come se molti avessero deciso di applicare la vecchia massima ebrea: quando qualcuno soffre una disgrazia, deve pregare, come se l’aiuto potesse venire solo dalla provvidenza; pero deve anche muoversi, come se solo lui potesse trovare la soluzione alla disgrazia…
La più lieve rottura degli stretti margini fissati dallo stato socialista nella pratica dell’iniziativa individuale e la conseguente possibilità  di ricercare vie indipendenti per migliorare le condizioni di vita delle persone, hanno liberato molte più energie e preoccupazioni che questioni di alta politica e, anche, di fede. A un notevole quantità  di cubani sembra interessare molto poco se viene il papa e quando. Quei cubani in molti casi sono gli stessi che, mesi fa, mentre correvano dietro l’immagine di una vergine cubana, si aspettavano anche di sentirsi dire dalle autorità  che finalmente, come cubani, avrebbero avuto l’eventuale possibilità  di accedere a internet grazie a un cavo di fibra ottica che sembra essersi perso nel mare, o di viaggiare liberamente all’estero grazie alla riforma di alcune leggi che invece, fra gli altri sogni svaniti o rinviati, pare non arrivino mai a cambiare.
La gente sembra pensare che i problemi materiali di quelli che guadagnano poco e vivono male, difficilmente si potranno risolvere, qui e ora, con visite pontefice. Quelli che guadagnano poco e aspirano a migliorare devono considerare che gli approvvigionamenti, le imposte e la concorrenza sono i loro problemi più urgenti. Non c’è da meravigliarsi quindi che non ripongano eccessive aspettative con simboliche presenze papali nell’isola caraibica. Adesso i loro bisogni sono terribilmente terreni.


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