Consigliere ferito, caccia a due sospetti

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TORINO – Che strano sicario quello che ha sparato quattro colpi ad Alberto Musy, professore, avvocato e capogruppo dell’Udc nel consiglio comunale di Torino. Prima di raggiungere l’abitazione di quello che poi diventerà  il suo bersaglio cammina per quasi un chilometro («con andatura dinoccolata e lenta» sottolinea chi lo ha visto) indossando un casco bianco e un soprabito nero e stringendo al petto un vistoso pacco chiaro. Lo hanno visto decine di testimoni e la sua tortuosa passeggiata è stata immortalata da più di una telecamera. Gli investigatori della Squadra Mobile e della Digos hanno ricostruito la sua marcia di avvicinamento al cortile di via Barbaroux 35 nei dettagli, scoprendo che è arrivato a casa del consigliere Udc dalla parte opposta a quella da dove era partito e da dove un minuto dopo il suo ingresso nello stabile è arrivato Musy. «Dopo la sparatoria – sottolineano in questura – se n’è andato seguendo la stessa strada e sempre tenendo il casco in testa». 
Il questore Aldo Faraoni si dice ottimista e spiega: «Le indagini stanno andando bene». Scartata ormai definitivamente la pista del terrorismo l’attenzione degli investigatori si sarebbe accentrata sulla vita professionale di Musy come avvocato civilista. «Stiamo valutando la posizione di due persone che potevano avere motivi di rancore nei suoi confronti – azzarda Faraoni – un uomo sconvolto da un fallimento e un altro legato a Musy da un rapporto di consulenza finanziaria che però al momento dell’agguato era fuori Torino». In realtà  il cerchio dei sospetti è molto più ampio. Musy in tribunale ha difeso grandi aziende e banche dalle azioni legali di sindacati e lavoratori ed ha ricoperto incarichi prestigiosi diventando nel 2010 rappresentante degli azionisti titolari di azioni privilegiate Exor (la «cassaforte» della famiglia Agnelli) e in precedenza è stato consigliere in diverse società  immobiliari. 
A sollevare le perplessità  degli investigatori però è la soprattutto la dinamica dell’agguato. Ieri il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli ha partecipato con l’aggiunto Sandro Ausiello al sopralluogo della polizia in via Barbaroux per una ricostruzione più dettagliata della sparatoria. Il sicario non ha seguito Musy, semmai lo ha preceduto e con un percorso lungo e tortuoso. Si è fatto aprire il portone citofonando all’inquilino del quarto piano, un giovane archeologo, dicendo che doveva consegnare un pacco. «Ho aperto perché stavo aspettando delle raccomandate dall’estero» ha spiegato l’archeologo Niccolò Manassero, interrogato due volte ieri in questura. Musy, il cui rientro a casa, non era previsto se l’è trovato di fronte, acquattato non nell’androne dove si sarebbe appostato un sicario ma in un angolo del cortile dove ogni inquilino avrebbe potuto vederlo. Altrettanto sorprendenti sono le modalità  della sparatoria. «Di certo non era un pistolero» sottolineano in questura. Musy è stato colpito da due proiettili, uno che gli ha trapassato il braccio destro finendo nella spalla e uno che si è conficcato nella scapola sinistra. Un terzo forse lo ha sfiorato alla testa. Le sue condizioni restano gravi e i medici del reparto di Neurorianimazione delle Molinette appaiono sempre più preoccupati. Nel frattempo nei corridoi della questura, dopo aver appurato che Alberto Musy aveva una vita privata specchiata e spazzato via il vortice di pettegolezzi delle prime ore, si fa sempre più insistente un’ipotesi sorprendente: che il consigliere dell’Udc non fosse il vero bersaglio del sicario e che l’uomo con il casco in realtà  stesse aspettando qualcun altro. Così l’attenzione degli investigatori si sta concentrando anche sugli altri inquilini dello stabile di via Barbaroux. «Consapevoli però che quei colpi di pistola sono stati sparati contro di lui – sottolinea Luigi Silipo, capo della Mobile torinese – e che chi ha sparato lo ha inseguito per colpirlo ancora dopo averlo ferito la prima volta».


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