Trentadue ore d’assedio Poi oltre trecento colpi mettono fine all’incubo

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TOLOSA — Quando gli agenti del Raid, finito di perlustrare il resto dell’appartamento, hanno introdotto la sonda con la telecamera nel bagno, dove l’assassino si era rinchiuso, Mohamed Merah è schizzato fuori facendo fuoco con la Colt 45 che già  gli era servita per uccidere i parà , il rabbino e i bambini. Sparava, Mohamed, vestito di unadjellaba nera (la veste tradizionale musulmana) e un giubbotto antiproiettile. Sparava e avanzava contro le forze speciali con le gambe immerse in quasi mezzo metro d’acqua, perché una tubatura era saltata durante il primo assalto, 32 ore prima. «Non ho mai visto nella mia carriera un uomo che ci assale mentre lo stiamo assalendo», dirà  poi a Le Monde il capo dei Raid Amaury de Hautecloque, discendente del generale Leclerc che nel 1944 liberò Parigi dai nazisti.
Non lo avevano fermato le parole dei negoziatori — almeno due — che si sono dati il cambio durante l’assedio infinito, né le granate assordanti e accecanti che durante la notte e la mattina, a intervalli regolari, venivano fatte esplodere dal Raid. «Pensavamo di stremarlo, per agire nelle migliori condizioni». Mohamed ha resistito, ed è rimasto in silenzio dalle 22 e 45 della sera prima facendo credere di essersi suicidato: invece è morto cercando di uccidere, fino all’ultimo. È uscito dal bagno sparando, 30 proiettili in tutto, mentre i 15 agenti del Raid entrati nell’appartamento rispondevano con raffiche terrificanti, oltre 300 colpi. Mohamed ha cercato scampo saltando dal balcone, al primo piano della palazzina dove abitava da 10 mesi: quando ha toccato terra, un metro e mezzo più sotto, era già  senza vita, colpito alla testa da un cecchino della polizia. Ore 11 e 37 del 22 marzo, la follia terrorista di Mohamed Merah è finita.
Il procuratore di Parigi, Franà§ois Molins, conferma che il 23enne terrorista islamico ha filmato ognuna delle sue tre azioni, con l’obiettivo di metterle su Internet. La polizia ha visto le immagini. L’11 marzo, un attimo prima di dare la morte al paracadutista Imad Ibn Ziaten, francese di origine marocchina, musulmano, reduce dell’Afghanistan, Merah gli dice: «Tu uccidi i miei fratelli, io ti uccido». Il 15 marzo, dopo avere sparato ai tre parà  davanti al bancomat a due passi dalla caserma di Montauban, Merah fugge sul suo scooter Yamaha T-Max gridando «Allah Akbar!». Il 19 marzo, alla scuola ebraica, spara al padre Jonathan Sandler, prima di uccidere i figli accanto a lui. 
Ieri pomeriggio un gruppo legato a «Al Qaeda del Maghreb islamico-Aqmi», i «Soldati del califfato», ha rivendicato i massacri chiedendo alla Francia di riconsiderare la sua politica «ostile» ai musulmani, ripetendo le parole già  usate da Merah: «La Francia perseguita l’islam proibendo il burqa e il velo nelle scuole e combattendo in Afghanistan».
Le autorità  francesi sembrano preferire la tesi di un Mohamed Merah «lupo solitario», ma la formazione islamica in effetti esiste e ha contatti con gli uzbeki che in Waziristan di solito si occupano di inquadrare i mujahiddin venuti dall’Europa. E Merah in Afghanistan e Pakistan c’era stato più volte per addestrarsi, tanto che per questo motivo era finito sulla «no fly list» stilata dall’intelligence Usa per impedire a potenziali terroristi di entrare sul suolo americano. 
Sul suo passaporto sono stati trovati i timbri di ingresso in Afghanistan, Siria, Giordania, Iraq e persino Israele, forse per organizzare attentati. Mohamed Merah era stato più volte condannato per furti minori, e per questo era stato respinto quando aveva cercato di arruolarsi nell’esercito francese e nella Legione straniera. Una donna lo ha denunciato per due volte, tre anni fa a Tolosa, quando Merah ha cercato di indottrinare suo figlio quindicenne facendogli vedere video di decapitazioni e azioni di guerra in Afghanistan, picchiando la sorella che aveva protestato. La settimana scorsa, Merah avrebbe rivendicato i suoi due primi assalti, e il suo nome figura sulla lista dei sospetti già  da sabato 17 marzo. 
Un pluripregiudicato di origine algerina con viaggi di addestramento in Afghanistan e Pakistan, sulla lista nera americana, denunciato due volte per jihadismo, schedato dall’intelligence francese Dcri, sospettato dopo i primi due agguati, ha potuto uccidere ancora. Ieri mattina il numero due del governo Juppé ha detto: «Capisco che ci si possa chiedere se ci sia stata una mancanza». Alain Juppé, ministro degli Esteri, capo della diplomazia e, per un giorno almeno, re dell’eufemismo.


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