«Dietro il lupo solitario un radicalismo islamico di marca globale»
«Un evento tragico da leggere alla luce di un radicalismo residuale».Per Olivier Roy, politologo francese tra i massimi esperti mondiali di Islam e professore all’Istituto universitario europeo di Firenze, l’attentato di Tolosa va inserito nel contesto di una società che avanza in modo conflittuale ma progressivo verso una compiuta integrazione, nell’ambito di un processo di adattamento descritto anche nel libro del 2008 «Islam alla sfida della laicità . Dalla Francia una guida magistrale contro le isterie xenofobe».
È in atto una radicalizzazione dell’Islam francese?
«Non credo si possa affermare. In riferimento ai fatti di Tolosa parlerei di radicalizzazione individuale».
Isolato e attento all’aspetto mediatico del piano come il norvegese Anders Breivik, cresciuto in un Paese occidentale e addestrato in zone di conflitto come gli attentatori di Londra 2005. Come inquadra il profilo di Mohamed Merah?
«Non conosciamo ancora i dettagli della sua storia personale ma in base alle prime ricostruzioni siamo di fronte a un nuovo caso di lupo solitario, ben inserito nel contesto d’appartenenza e difficile da intercettare, che non ha alle spalle una storia di povertà o disagio. Senza destare sospetti ha coltivato il mito dell’eroe che persegue un nuovo ordine e lotta in solitudine».
Ieri si è dichiarato membro di Al Qaeda.
«L’elemento antisemita proviene dall’indottrinamento qaedista, il richiamo al salafismo rivela la volontà di darsi il marchio del radicalismo estremo ma non si può parlare di un vero e proprio ancoraggio a una comunità . Questi attentatori fai da te si considerano parte di una rete sovranazionale e pensano in termini globali aderendo alla natura dell’Islam radicale che può cambiare forma per adattarsi ai diversi contesti nazionali, dalla Gran Bretagna multiculturale alla Germania a forte presenza turca, ma nella sostanza non conosce confini. Si tratta però in prevalenza di individui che agiscono in autonomia».
Le origini algerine, l’attacco alla scuola ebraica nel 50esimo anniversario della fine della Guerra d’Algeria, c’è una componente anticolonialista?
«L’immaginario dell’attentatore segue senz’altro una logica di contrapposizione di marca coloniale ma attualizzata: dal conflitto in Algeria al fronte afghano».
Come rientra in questa cornice l’uccisione dei parà di origine straniera?
«Erano soprattutto soldati della Repubblica, considerati probabilmente traditori per aver scelto di servire lo Stato che manda l’esercito a combattere i musulmani nel mondo. È naturale che la componente arabo-musulmana, in proporzione più svantaggiata economicamente e con prospettive lavorative inferiori rispetto al resto della popolazione, sia sovrarappresentata nell’esercito francese: cittadini di religione islamica integrati al punto da accettare di combattere i talebani in Afghanistan. Per paradosso, il fatto che soldati musulmani siano identificati come bersagli nel piano di vendetta di un estremista rappresenta una prova indiretta dei progressi compiuti nell’integrazione».
La linea Sarkozy funziona?
«Sarkozy non ha esitato a demonizzare in maniera sistematica la parte musulmana della società , inseguito e superato dal Front National di Marine Le Pen con la sua retorica populista che difficilmente si soffermerà sul fatto che alcune delle vittime erano di fede islamica. La partita dell’integrazione si gioca concretamente sul piano della partecipazione attiva alla vita dello Stato, della rappresentanza politica, di un ampliamento “etnico” della classe media. Da questo punto di vista la politica francese è in colpevole ritardo rispetto alla società ».
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