I peggiori d’Europa

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Se le indagini giudiziarie sulla corruzione e le trasformazioni politiche ad esse seguite avevano fatto parlare ottimisticamente di un passaggio a una seconda (e migliore) repubblica, alcuni indicatori confermano la percezione diffusa (sia fra gli esperti che nella opinione pubblica più in generale) di una corruzione ancora rampante. 
Si può iniziare dai dati elaborati da una associazione internazionale, Transparency International, fondata proprio con lo scopo di contribuire alla diffusione di politiche anti-corruzione. Il Corruption perception index di Trasparency International è basato sulle opinioni di osservatori privilegiati, combinando le analisi di 13 organizzazioni indipendenti che valutano il livello di trasparenza su una scala dove 10 rappresenta assenza di corruzione e 0 massima corruzione. Nel 2010, l’Italia si colloca al 67° posto, il livello più basso da quando l’indice ha cominciato ad essere usato alla fine degli anni Novanta. In una comparazione internazionale, l’Italia è considerata come più corrotta degli altri paesi europei (esclusi Grecia, Bulgaria e Romania), ottenendo un punteggio peggiore anche rispetto Rwanda, Ghana, Tunisia, Namibia, Malesia, Giordania. la percentuale dei cittadini italiani che dichiarano di avere ricevuto o offerto una tangente è, nel 2009, del 17% in Italia, contro il 9% della media europea. Dati simili sono riportati dal Global corruption barometer: il 13% degli intervistati in Italia ha dichiarato di avere pagato almeno una tangente, contro il 5 per cento della media della Ue. Nel tempo, la percezione che vi sia in Italia una corruzione diffusa tende a crescere. Secondo Transparency International, nel 2010, l’Italia con il 3,9 totalizza il peggior punteggio dalla prima rilevazione del 1998. 
Questi dati mettono in evidenza che la percepita causa della crisi della così detta “Prima repubblica” appare ancora pienamente caratterizzare il panorama politico italiano di quelli che alcuni si sono affrettati a definire “Seconda repubblica”. La ricerca sul caso italiano segnala l’anomalia di un paese liberal-democratico industrializzato che presenta livelli di corruzione paragonabili a quelli dei paesi in via di sviluppo, segnalando la presenza di condizioni particolarmente vantaggiose per gli aspiranti corrotti e corruttori. In Italia i fattori che orientano le scelte dei potenziali corrotti e corruttori, tanto a livello di occasioni economiche che di vincoli morali, pongono deboli barriere alla diffusione del fenomeno. Come ha osservato Alessandro Pizzorno, si è sviluppata una conventio ad consociandum, con residui di conflitto ideologico nella sfera visibile della politica, e invece accordi di reciproca connivenza in una sfera occulta della politica. Accanto alla politica, anche il mercato appare storicamente permeabile alle pressioni partitiche, data la tradizione di imprese familiari, il controllo politico delle fonti di credito, il debole sviluppo della borsa. 
Se gli scandali di “tangentopoli” riguardano gli anni Ottanta e Novanta, le condizioni di quei fenomeni di corruzione della democrazia sono storicamente radicate. Proprio la bassa trasparenza della politica e della amministrazione è una chiave di lettura delle radici storiche profonde della corruzione in Italia. Se i nomi dei partiti sono cambiati dopo il terremoto di Tangentopoli, non sembra però che i partiti siano riusciti a riconquistare legittimazione tra la popolazione, che anzi assegna ai partiti percentuali di fiducia sempre più basse. Senza una riforma della politica, la corruzione appare in vigorosa crescita.


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