L’Europa è razzista

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È con queste parole che Chibo Onyeji, presidente dell’Enar (Rete europea anti-razzismo) ha introdotto il “Rapporto ombra 2010-2011”, lo studio sulla xenofobia e la discriminazione in Europa presentato oggi, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale. Il primo giorno di primavera, infatti, venne scelto dalle Nazioni Unite perché il 21 marzo 1960, 69 dimostranti neri furono uccisi a Sharpeville, Sudafrica, durante una protesta pacifica contro l’apartheid.
Il rapporto si fonda sui dati raccolti da una rete di oltre 700 Ong aderenti all’Enar, le quali hanno sede in tutti gli Stati membri dell’Ue e sono impegnate nella lotta a ogni forma di razzismo e intolleranza e a promuovere l’uguaglianza di trattamento tra cittadini europei e cittadini di qualsiasi altro paese.

Il primo dato a emergere è che la crisi economica ha un impatto negativo su migranti e minoranze, sempre più vulnerabili a disoccupazione e precarietà . La flessione dell’economia crea anche paure diffuse che da un lato stimolano comportamenti razzisti e dall’altro riducono le risorse impegnate a ridurre razzismo e xenofobia.

In evidenza anche il fatto che le minoranze etniche e religiose sono discriminate ed escluse in ogni campo della vita, dall’occupazione all’istruzione, dall’abitazione all’azione di polizia, in ogni paese europeo. Due esempi per tutti: in Spagna, un lavoratore immigrato è stato licenziato per aver chiesto un contratto di lavoro dopo aver lavorato nove ore al giorno, sei giorni alla settimana, per 600 euro per due mesi; in Romania l’aspettativa di vita dei Rom è dieci anni più bassa rispetto alla media degli europei e quasi la metà  dei bambini non ha accesso alle vaccinazioni. Sono, inoltre, in aumento gli episodi di violenza a opera di gruppi neonazisti e di altri criminali xenofobi, che vanno di pari passo con il successo di partiti e movimenti di estrema destra. Esemplari i casi del Regno Unito, della Danimarca, dell’Ungheria, della Grecia e della Polonia.

Fra le più vulnerabili restano le persone di origine africana. Nel Regno Unito, per esempio, le probabilità  d’essere fermati e perquisiti sono sei volte superiori per i neri rispetto ai bianchi; in Spagna il 36,8 percento dei proprietari di case rifiutano di affittare ad africani delle regioni subsahariane.

Un panorama desolante, sebbene tutti gli Stati membri dell’Ue abbiano inserito nella legislazione nazionale le norme europee contro le discriminazioni. A questo si aggiungono le politiche sull’immigrazione restrittive ed escludenti, tese non solo al controllo delle frontiere esterne ma anche a limitare il diritto di residenza all’interno dell’Unione europea.

Italia. Analizzando il caso italiano, a finire nel mirino delle Ong dell’Enar sono principalmente le aziende lattiero-casearie che costringono i lavoratori a vivere nelle stalle vicino al bestiame, senza servizi igienici né elettricità  e le aziende ortofrutticole, che impiegano operai stranierai nella raccolta dando loro quale alloggio vecchie fabbriche abbandonate prive di ogni minimo comfort.

In evidenza anche la discriminazione che i migranti subiscono dalle banche, le quali pretendono molte più garanzie da chi non ha la cittadinanza. Questo impedisce loro l’acquisto della casa o di qualsiasi altro bene per il quale necessiterebbero di prestiti. Sono anche aumentate le denunce all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni (Unar) nel settore dei servizi pubblici e nel settore dei servizi finanziari.

E la febbre razzista cresce anche nel web. Su Facebook sono nati cento gruppi anti-musulmani, 350 anti-immigrati e 300 gruppi anti-rom, e alcuni registrano addirittura 7mila membri.

La situazione italiana è, infine, allarmante anche fra i giovani. Secondo i dati Unicef-Italia quasi un quarto degli adolescenti di origine straniera ha subito episodi di discriminazione. Un dato che ha spinto l’ente delle Nazioni Unite a lanciare la campagna “Io come tu”, che rilancia il diritto che ha qualsiasi minore a non essere discriminato e sollecita la riforma della legge sulla cittadinanza. Oggi, chi nasce in Italia da genitori residenti ma non cittadini ha un permesso di soggiorno temporaneo che ogni tanto va rinnovato fino ai diciotto anni dei età , poi ha un anno per richiedere la cittadinanza, dimostrando di aver vissuto con continuità  sul territorio italiano. Se per qualsiasi motivo, in questi anni i genitori perdessero la residenza – sempre e comunque legata al posto di lavoro – per i ragazzini nati e cresciuti qui diverrebbe impossibile acquisire la cittadinanza. Una vera ingiustizia per una legge “ormai inadeguata”, come la definisce Unicef, in un paese in cui il numero dei minorenni residenti di origine straniera sfiora il milione e in cui sono 650mila i bambini nati in Italia da genitori non cittadini.

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