Carter, ultima metamorfosi Da presidente a predicatore l’ultima reincarnazione

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WASHINGTON – Dal podio presidenziale al pulpito, dai reattori nucleari al Vangelo, la parabola di Jimmy Carter, ieri presidente oggi predicatore, si è compiuta. Quarant’anni or sono, quando si faceva fotografare a insegnare la Bibbia ai fanciulli, il suo sembrava un trucco elettorale, un gimmick per accalappiare voti devoti. E invece quella di Jimmy Carter, 39esimo presidente degli Stati Uniti passato alla storia in un’aureola di insuccessi e di impopolarità , era fede vera, profonda, sofferta come fu la sua difficilissima amministrazione.
Arrivato a 87 anni di vita, un’età  alla quale mentire agli altri e a se stessi diventa inutile, James Earl Carter, “Jimmy il Dentone” per il suo abbagliante sorriso equino, è arrivato alla sua quinta incarnazione. Da coltivatore di peanuts nelle pianure infinite del suo paese nel Sud, chiamato, appunto, Plains, a ufficiale sui sottomarini addetto ai reattori nucleari. Da ufficiale a uomo politico fino alla massima poltrona nazionale nel 1976. Da Presidente a instancabile missionario laico globale per la pace, per i diritti dei palestinesi, per il rispetto delle regole elettorali nelle neonate democrazie, il passaggio all’apostolato mistico era inevitabile.
Era uscito dalla Casa Bianca nel 1981, ad appena 57 anni, sconfitto da un Ronald Reagan e da un’America che si erano stancate della sua onestà  un po’ deprimente e sognavano il ritorno alle illusioni di grandezza di un’America «luminosa città  sulla collina». Il ricordo del suo storico successo nel convincere israeliani ed egiziani a una pace, che sarebbe costata la vita ad Anwar Sadat ma avrebbe risparmiato al Medio Oriente almeno una guerra di distruzione totale, era stato offuscato dalla profonda recessione economica, dall’aumento furioso dei prezzi di carburante – sempre una trappola letale per i presidenti nel segno dell'”aumenta la benzina, governo ladro” – e dall’umiliazione inflitta da Khomeini con il ratto dell’ambasciata americana a Teheran.
Altri presidenti usciti malconci dalla loro avventura sul massimo soglio si sarebbero consolati giocando a golf, come l’onesto Ford, scrivendo memorie autoassolutorie, come il ringhioso Nixon, o dileguandosi nell’oblio, come George W Bush, il desaparecido della storia americana, il nome che nessuno dei candidati repubblicani alla Casa Bianca osa neppure pronunciare. Ma Jimmy, che aveva per primo adottato come proprio nome ufficiale non il “James” scritto nel certificato di nascita, ma il vezzeggiativo Jimmy, aveva la propria fede cristiana, refugium trombatorum, oltre che peccatorum. Da subito riprese a predicare nella chiesina battista di Maranatha, fra gli alberi di pecan, le noci americane, a Plains.
Gli era stato proposto un pulpito televisivo, che lui ha sempre rifiutato, perché troppo ostentato, troppo sfacciato per la sua modestia. Ai congressi del suo partito, il Democratico, aveva accettato, come penitenza, di fare comparsate nelle ore in cui nessuno guarda la televisione, per non suscitare brutti ricordi nel partito e nell’elettorato. 
Ma per i trent’anni trascorsi dalla sua cacciata dal paradiso artificiale della politica, «non è trascorso un giorno nel quale non abbia letto pagine della Bibbia». E non c’è stata sera nella quale, prima di addormentarsi al fianco della moglie Rosalynn, l’ex parrucchiera del paese natio con la quale è sposato da sessantasei anni, dal luglio del 1946, non abbia discusso con lei un passaggio del Libro: «Proprio ieri sera, Rosalynn e io abbiamo discusso Matteo 10: 34, dove il Signore dice di non essere venuto a portare la pace, ma la spada. Credo volesse dire che era venuto a sconvolgerci l’anima, a portare il segno della contraddizione in noi», ha detto in un’intervista. 
Ora ha pubblicato un nuovo studio, un’esegesi della “Bibbia secondo Jimmy” che gli ha meritato l’ironia di qualche blogger anticarteriano dove è subito stato ribattezzato come “Il Quinto Evangelista”. Più modestamente, s’intitola “Niv: Lezioni per una vita, le riflessioni di Jimmy Carter”, dove Niv è la New International Version dei testi sacri pubblicata nel mondo anglofono negli Anni ‘70, fra molte controversie. Come sicuramente controverse sono le tesi di Carter sui nodi della cosiddetta «moralità » sbandierata dai neo fondamentalisti.
«Nella mia chiesa la Maranatha (da una espressione in aramaico, la lingua dei Vangeli, che significa: Guardate Colui che arriva) i gay possono sposarsi, e mi va benissimo», ha predicato Carter anche nelle sue apparizioni televisive. «L’omosessualità  era certamente diffusa anche nel mondo antico eppure Cristo non dice una sola parola di condanna o di discriminazione. Nelle sue lettere ai Galati, l’apostolo Paolo scrive che Dio non fa alcuna differenza fra maschi e femmine, e non vedo perché lo Stato, che non rappresenta o non deve rappresentare alcuna religione o confessione, dovrebbe farne. Per questo ho lasciato la Chiesa battista del Sud, perché ormai intollerante e discriminatoria».
Non è questo il genere di omelie che la arcigna interpretazione del messaggio cristiano oggi dominante voglia ascoltare, e oggi un Jimmy Carter non sarebbe eletto neppure alla carica di accalappiacani. Ma nella sua “quinta incarnazione”, solo con la moglie nell’ormai quieto talamo serale, Jimmy Carter può contemplare sereno il più severo degli elettori: la propria coscienza.


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