L’articolo 18 non c’è più

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In pochi giorni l’Italia entra nell’era che Marchionne ha chiamato «dopo Cristo». Il governo Monti cancella in un colpo solo sia un metodo ultradecennale – la concertazione con le parti sociali in materia di lavoro – sia un sistema consolidato di welfare, tutele e ammortizzatori sociali a cominciare dall’articolo 18.
Dopo giorni di contatti e vertici febbrili con sindacati e associazioni datoriali, sia il premier che la ministra del Lavoro Elsa Fornero presentano al parlamento la stessa proposta che avevano all’inizio: niente novità  dell’ultimo minuto. Noi proponiamo un «cambiamento radicale di filosofia», ricorda Fornero: «Dalla tutela del singolo posto di lavoro passeremo a quella del singolo lavoratore in cerca di occupazione». La riforma del lavoro dunque va di pari passo con i tagli alle pensioni attuati a dicembre. E non a caso fu chiesta anch’essa nella famosa lettera della Bce dell’agosto scorso. 
In serata – in una conferenza stampa durata oltre un’ora e interrotta anche da una lunga conversazione telefonica tra Monti e il Quirinale – il premier ribadisce che sull’articolo 18 «la questione è chiusa». Entro venerdì si limerà  il testo ma non su questo punto. Il governo spinge la Cgil (e il Pd) nell’angolo e annuncia un accordo sostanziale con tutte le altre parti sociali tranne Corso d’Italia. Una rivendicazione quasi ostentata di fronte ai giornalisti, durante la lunga sintesi dei provvedimenti. Il tono lo dà  Monti all’inizio e alla fine: «Non c’è né ci sarà  nessun accordo tra governo e parti sociali, ci consultiamo, dialoghiamo, ma il nostro interlocutore principale è il parlamento e il nostro obiettivo è l’interesse generale». Il premier non parla direttamente di «concertazione» ma usa il termine ben più peggiorativo di «consociazione». 
Monti venerdì parte per l’Asia e afferma di voler presentare subito ai mercati di Cina e Giappone la sua riforma. Non dice nulla di ufficiale ma fa capire che attende dal Colle il via libera a emanare un decreto legge in modo da velocizzare i tempi al massimo e tagliare fuori il conflitto sociale fuori dal parlamento. E’ una mano di poker da «all-in» in cui, al momento, non trova avversari disposti a vedere. Soltanto in subordine l’esecutivo potrebbe accontentarsi di una legge delega ma la smorfia con cui sia Monti che Fornero alludono ai tempi di attuazione infiniti fa capire quale sarà  il punto di caduta. Giovedì alle 16 ultimo incontro Fornero-sindacati e poi,venerdì, il testo sarà  articolato in un decreto con allegato il «verbale» delle diverse posizioni di sindacati e associazioni (ben più articolate di quanto abbia lasciato intendere il governo in conferenza stampa). La questione (il Pd se ne farà  una ragione) sarà  dunque affrontata prima delle amministrative di maggio e non dopo come avrebbero voluto al Nazareno.
Lanciato il dato politico, restano i dettagli «tecnici». Che costituiscono un’autentica rivoluzione dei rapporti di lavoro per come l’abbiamo conosciuti finora. La riforma Fornero rovescia tutto il mercato del lavoro e rivoluziona in particolare tre pilastri: i contratti (norme in entrata), i licenziamenti (art. 18 e flessibilità  in uscita), gli ammortizzatori sociali. In sintesi: meno flessibilità  in entrata (sarà  più costosa) ma licenziamenti più facili e ammortizzatori sociali per una platea più ampia (universale) ma molto meno “generosi” di quelli attuali.
Per il governo i contratti attuali sono troppi. La forma «dominante» di lavoro sarà  un periodo di apprendistato «serio, formativo, certificato» (Fornero) e poi un contratto a tempo indeterminato. Le altre forme di precariato della legge Biagi restano ma saranno contrastate con un cuneo fiscale e contributivo più pesante e maggiori controlli. In uscita, invece, viene di fatto abolito l’articolo 18. Il governo non ha modificato la sua proposta. Il diritto al reintegro in caso di licenziamenti discriminatori (rari tipo il film Philadelphia, per capirci) rimane e si estende anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Per quelli disciplinari invece (per es. alla Fiat di Melfi) sarà  il giudice a stabilire se reintegro o indennizzo da 15 a 27 mensilità . Completa via libera – ed è un varco che di fatto smantella l’intera tutela prevista finora – ai licenziamenti «oggettivi» per motivi economici. In questo caso l’impresa pagherà  un indennizzo onnicomprensivo da 15 a 27 mensilità  e addio al lavoratore. La norma varrà  sia per i vecchi che i nuovi assunti ed entrerà  immediatamente in vigore con la nuova legge. 
Riforma imponente anche sugli ammortizzatori sociali. Fornero assicura di avere a disposizione 1,8 miliardi «aggiuntivi» per l’Aspi, la nuova assicurazione universale per la disoccupazione che in concreto darà  850 euro per un anno a chi guadagna 1150 euro lordi (per 18 mesi agli over 55). E’ un taglio molto consistente, visto che sostituisce per passi graduali da qui al 2017 una mobilità  che attualmente può arrivare a 4 anni. ASPI L’Assicurazione sociale per l’impiego, il nuovo sistema che sostituirà  le indennità  di mobilità  e di disoccupazione, entrerà  a regime tra 5 anni mentre andrà  a sparire la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività 


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