Articolo 18 ridotto al minimo Monti: “La questione è chiusa” solo Cgil dice no e prepara lo sciopero I
ROMA – L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non c’è quasi più. Rimarrà solo per proteggere i licenziamenti discriminatori. Aveva resistito integro per oltre quarant’anni. Il governo Monti ha ottenuto il consenso di tutte le parti sociali, tranne quello della Cgil di Susanna Camusso. Per questo la riforma (che riguarda anche i contratti di entrata nel mercato del lavoro e i nuovi ammortizzatori sociali) è senza accordo, senza la firma di nessuno se non quella del governo. Sarà presentata così in Parlamento. Ci sarà poi un verbale nel quale saranno espresse le posizioni di sindacati e imprese. Dal Quirinale filtra il rammarico per la mancata intesa: «Forse – notavano ieri sera dal Colle – non tutti gli sforzi sono stati fatti da entrambe le parti».
ORE 8,30. TUTTI A PALAZZO CHIGI
Quella di ieri, dunque, è stata la lunga giornata del disaccordo con la Cgil. Cominciata presto perché il premier Mario Monti ha convocato alle 8,30 di mattina nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Chigi i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, e il presidente della Confindustria. Sanno già perché stanno lì. Monti ha già comunicato loro che non ci sono le condizioni di una firma condivisa da tutti. Sull’articolo 18 la Cgil non cambia linea, ma nemmeno il governo. «Abbiamo gli occhi del mondo addosso», fa notare il premier, mentre intorno a palazzo Chigi si sistemano i pulmini attrezzati delle tv internazionali. È da sabato scorso che lo scenario è mutato. A Milano, al convegno confindustriale, si è consumato lo strappo. «Sarà la riforma del governo – spiega Monti – ce ne assumeremo tutta la responsabilità in Parlamento». Anche se il Pd preferirebbe una legge delega (dai tempi più lunghi) al momento palazzo Chigi non esclude nulla, «nemmeno un decreto legge».
La riforma del mercato del lavoro è la prova del fuoco per il governo Monti. In gioco c’è la sua credibilità . Il premier sa anche che senza la Cgil «varrà di più sui mercati». Misurerà la profondità dei provvedimenti. Ritornerà , lungo la giornata, questo ragionamento.
ORE 11,00. SI TRATTA ANCHE AL MINISTERO DEL LAVORO
“Ristretta” di Monti con i sindacati. Nelle liturgie sindacali sono le riunioni che contano, quelle durante le quali si decide il da farsi. Bonanni dice sì ma Angeletti nicchia ancora. Camusso è per il no. Al ministero del Lavoro gli sherpa di sindacati e industriali hanno ripreso a scrivere i testi sugli ammortizzatori sociali e i contratti.
ORE 12,00. CAMUSSO, BONANNI E ANGELETTI
LASCIANO PALAZZO CHIGI
È mezzogiorno quando Camusso stanca e tesa in volto e con l’ennesima sigaretta tra le dita esce da Palazzo Chigi, insieme a Bonanni e Angeletti. L’unità d’azione sindacale è durata poco più dello spazio di un mattino. Ma Bonanni e Angeletti rispettano il patto che avevano sottoscritto: nessun accordo separato sul lavoro. D’altra parte nemmeno il governo lo avrebbe voluto. Entra Emma Marcegaglia che ha quasi stravinto: il suo predecessore Antonio D’Amato finì sconfitto nel 2002 quando aprì la battaglia sull’articolo 18. La Marcegaglia, in un contesto economico radicalmente diverso, ha fatto fare la battaglia al Professore ma dietro le quinte ha giocato la sua partita con tutte le sue sponde nel governo, dal ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, al viceministro dell’Economia Vittorio Grilli. Finisce il mandato con lo scalpo dell’articolo 18. Anche nelle fabbriche del suo gruppo la Fiom sta scioperando per due ore a difesa dell’articolo 18. Ma è ininfluente.
ORE 13,00. I PICCOLI, “PRONTI ALL’ACCORDO”
Le piccole imprese avevano minacciato la rivolta a cominciare dalla disdetta dei contratti perché Fornero intendeva alzare i contributi per l’indennità di disoccupazione e per i contratti stagionali. Non passa né l’una né l’altra misura. I piccoli sono per buona parte il blocco sociale della destra. Il Pdl ha fatto pressing sul governo e ha portato a casa non poco. In cambio, però, il governo ha esteso alle aziende con meno di 15 dipendenti il diritto al reintegro in caso di licenziamento ingiustificato discriminatorio. Anche il direttore generale della Confindustria, Giampaolo Galli, protesta, dice che molte cose non vanno bene. Tatticismo negoziale. La Marcegaglia ha appena detto a Monti che la sua riforma è ok.
ORE 13,30. SI RIUNISCE LA SEGRETERIA DELLA CGIL MA CISL E UIL VANNO IN CONFINDUSTRIA
Quarto piano del palazzone di Corso d’Italia. I membri della segreteria nazionale del più grande sindacato sono già lì nella sala riunione ad aspettare la Camusso. Si fuma. C’è preoccupazione e rabbia. Per la prima volta da almeno dieci anni questo è il gruppo dirigente della Cgil che accetta di intervenire sull’articolo 18. La loro apertura però non è servita. Camusso è convinta e lo ripete ai suoi: «Il governo non voleva l’accordo. È un governo attento ai mercati e non ai lavoratori». Lo dirà anche in conferenza stampa. Gli scioperi li deciderà il Direttivo già convocato per oggi. Ma ci saranno. La Fiom di Maurizio Landini vuole lo sciopero generale. Camusso punta a una mobilitazione più lunga e articolata. «Non sarà una fiammata. Faremo di tutto per contrastare la riforma. Ci sarà tensione sociale», dice. Dal governo, in serata, si augurano tuttavia che «le modalità della mobilitazione si svolgano nel rispetto della dialettica democratica». Dura un paio d’ore la riunione. Alla fine una nota della segreteria che sancisce la rottura con il governo di professori: «L’obiettivo del governo sono i licenziamenti facili». A meno di un chilometro di distanza Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono con Emma Marcegaglia in via Veneto alla Foresteria della Confindustria. Monti ha chiesto alla Marcegaglia di convincere Angeletti sui licenziamenti disciplinari. Ci riuscirà . Il governo sostiene che non era scontato «recuperare la Uil e la stessa Cisl che fino a qualche giorno fa parlava di macelleria sociale».
ORE 14,00. BERSANI: «TOCCA AL GOVERNO COLMARE
LE DISTANZE»
Il segretario del Pd invita a tener conto delle proposte della Cgil. Invano. Ora palazzo Chigi spera che il Pd non si divida sul provvedimento, ma in ogni caso si fa notare come durante il vertice dei segretari “ABC” anche da Bersani fosse venuto un via libera alla riforma. «Spetta al Parlamento decidere», ricorda comunque Bersani.
ORE 14,20. IL GOVERNO: MARGINI STRETTI, PREMONO I MERCATI
Monti fa sapere che i margini per un possibile compromesso non ci sono. Premono i mercati. Dice uno dei ministri: «Le proteste della Cgil dimostrano che la riforma è vera. Le critiche sono fisiologiche ma le avevamo messe in conto». Nella conferenza stampa finale il premier ricorda ancora che la riforma viene incontro alle raccomandazione della Commissione di Bruxelles e anche dell’Ocse. È la morsa che ha stretto la Cgil. «Nessun ha più un potere di veto», dice Monti e aggiunge: «Mi aspetto che le imprese raddoppino i loro investimenti ora che non avranno l’handicap o l’alibi, a seconda del punto di vista, di avere un trattamento dei licenziamenti diverso da quello delle economie più avanzate».
ORE 17,20. RIUNIONE IN SALA VERDE
AL TERZO PIANO
È l’epilogo. Tutto già previsto. Attorno al tavolo della grande Sala Verde al terzo piano di Palazzo Chigi si consuma l’ultimo rito di quella che non è mai stata un revival della concertazione. Monti cita Napolitano («prevalga l’interesse generale») e concede l’onore delle armi al segretario Cgil: «La ringrazio, signora Camusso, perché con il suo no ha fatto capire a tutti che governare non è facile. Spero però che, nelle forme e nei modi che vorrà , possa anche dire quello che c’è di buono in questa riforma».
ore 20,15. IL PREMIER, «STRINGIAMO PER FAVORE…»
«Signori, stringiamo per favore…», Mario Monti richiama il portavoce di Rete Imprese Italia, Marco Venturi, perché esprima rapidamente il suo giudizio.
ore 20,30. MONTI TELEFONA A NAPOLITANO
Il premier chiama il Quirinale: «Abbiamo finito, lo ritengo un successo». Ma il Capo dello Stato si raccomanda di evitare che «non essendoci un accordo su tutto, non si trasformi con la Cgil in una rottura su tutto».
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