SETTE BAMBINI IN VIAGGIO DENTRO UNA FIABA NERA

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Sono rari gli scrittori che fin dalla prima pagina ci trasmettono un senso di allarme, che ci chiamano a partecipare a un pericolo e non ci permettono di abbandonare indenni la lettura, perché la letteratura non è una bella storia, personaggi affascinanti, una scrittura efficace, ma una scalata rischiosa del versante più impervio della vita. A ogni pagina si rischia di cadere, di farsi male, eppure si procede, si sale verso una promessa di luce. 
Carola Susani da sempre, da subito, racconta l’innocenza ferita, sente che la letteratura deve dare voce ai bambini, agli adolescenti, a una purezza costantemente minacciata, sommersa dal fango e dalle umiliazioni, eppure irriducibile. In lei si avverte la lezione creaturale di Pasolini e della Morante, una vocazione quasi religiosa che la costringe a seguire anche nell’orrore i passi dei buoni, degli umiliati e offesi, di tutti coloro che zoppicano sopra il mistero sacro dell’esistenza, sotto un cielo che pare sempre buio e silenzioso. Eravamo bambini abbastanza (minimum fax, pagg. 212, euro 13,50) è il titolo del suo ultimo romanzo, scabroso, allucinato, dolorosissimo: che significa quell’abbastanza, cosa aggiunge e cosa sottrae all’inconsapevolezza felice degli inizi? 
Sette bambini avanzano verso Roma guidati da un mostro, il Raptor, che li ha rubati alle loro famiglie, agli orfanotrofi, alla normalità  o al disagio. Ogni madre soffrirà  le pene dell’inferno leggendo le pagine in cui il Raptor si apposta come una belva e prepara l’agguato: un attimo di distrazione nel piazzale di un supermercato, in un giardino, e il bambino è caricato su un furgone, portato via per sempre. I sette nani viaggiano insieme alla loro feroce Biancaneve, che li costringe a mendicare, a prostituirsi, a saccheggiare negozi per fare cassa. Potrebbe sembrare un libro di denuncia, il racconto di tante infanzie stravolte, bambini ucraini, russi, croati strappati alla loro età  e gettati nell’orrore del mondo: certo, è questo, ma anche altro. In qualche modo il romanzo della Susani mi ha ricordato La crociata degli innocenti di Marcel Schwob, perché questi bambini subito dimenticano il loro passato e partecipano con una gioia atroce alla nuova avventura. «La verità  è che stavo bene – dice Manuel, il piccolo narratore –. Ormai ci voleva un amore più forte, o semplicemente una forza più forte, per portarmi via. Mi ero abituato. Se allora qualcuno mi avesse detto: ormai stai bene con il Raptor, avrei negato, mi sarei ribellato. Scoprire che c’era voluto così poco, pochi giorni, per dimenticare mia madre, mio padre, il bambino che ero stato, mi avrebbe fatto paura». Ma così è: la vita ora è tutto in quel viaggio segreto tra capannoni abbandonati, strade secondarie, nelle zone slabbrate delle città , dove il progresso è diventato necrosi, vuoto, miseria. I bambini si contendono gli spazi e le possibilità  con i barboni, i punkabbestia, i derelitti, a volte pensano di scappare, ma non lo fanno. In una sacca uno di loro conserva due libri: Ventimila leghe sotto i mari e Il libro delle fini e degli inizi, misterioso angelo di questa minima setta di nomadi. Oltre alle loro povere cose, portano la sedia del Raptor, una sorta di sacro trono per la loro guida, il simbolo di un comando spirituale. A un certo punto si scopre che il mostro è stato un teologo, un eretico respinto dalla chiesa, e forse vuole andare a Roma per discutere con il Papa di complesse questioni religiose. 
Tutto è sospeso tra la brutalità  e il sogno, tra lo squallore e un vago senso di eccezionalità . Forse avrebbe giovato al libro una maggiore condensazione, perché l’andatura picaresca a volte perde il centro del racconto, la sua aspirazione all’esemplarità . Troppi episodi e troppe digressioni indeboliscono la potenza leggendaria del viaggio: ma comunque Carola Susani riesce a portarci fino in fondo, a spaventarci, a emozionarci. Ci ricorda che anche noi eravamo bambini abbastanza, che forse dobbiamo esserlo ancora, nonostante – o forse grazie – l’orrore del mondo.


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