Genova si ferma all’art.18

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Sono gli operai di Sirti, Controlli, Ultraflex, Siag, Navalimpianti. Ci sono quelli di Ilva, Fincantieri e Ansaldo-Energia ed Elsag, Piaggio ed Esaote.
Partono da Sestri ponente alle otto del mattino, scendono a Cornigliano, poi a Sampierdarena. Il traffico va in tilt in centro come a ponente. E’ una manifestazione ad elastico, con blocchi stradali temporanei come quelli effettuati da un gruppo di lavoratori in alta Valpolcevera.
Il corteo principale arriva allo snodo autostradale e si attesta all’uscita dell’A10, poi torna a Cornigliano e a Sestri. A seconda di quello che si è deciso nelle assemblee, parte dei lavoratori tornano nelle fabbriche, altri continuano per l’intero turno e nel pomeriggio a piazza Massena un corteo riprende la strada, sale in Valpolcevera fino all’Ikea e poi torna. Tra i lavoratori si registra paura, perplessità , lo spettro di una cassa integrazione che rischia di ridursi da tre a un anno, ma soprattutto gira sempre la stessa frase: «Fanno pagare ai dipendenti la crisi».
Nessuno riesce a leggere la promessa di sviluppo nella riforma del lavoro proposta dal governo Monti, né crede che possa comportare la riduzione del precariato, semmai ridurre i diritti degli assunti. Il segretario nazionale Fiom Maurizio Landini l’aveva anticipato sabato scorso alla giornata della memoria e dell’impegno promossa a Genova dall’associazione Libera: «Faremo manifestazioni a staffetta, partiamo da Genova per continuare in altre città ».
E’ un modo per mandare un messaggio al governo in attesa dell’incontro tra parti sindacali e il premier Monti, ma anche far sentire forte e chiaro in casa Cgil il no della Fiom. «La posizione della Fiom era quella della Cgil fino a dieci giorni fa – commenta infatti il segretario della Fiom genovese, Francesco Grondona – per altro votata dal direttivo nazionale. Si diceva che l’articolo 18 resta com’è, al massimo si possono accorciare i tempi per le cause. Infatti in testa al nostro corteo c’è uno striscione ‘l’articolo 18 non si tocca’. Lo abbiamo portato in corteo con la Cgil non più di due mesi fa. Se poi qualcuno ha cambiato idea, noi non siamo d’accordo». Grondona aggiunge che «il governo vuole procedere ed è un suo diritto. E’ un nostro diritto scioperare e lottare. Com’è posta la questione, non sembra ci siano molti margini di discussione. Anche perché finora non si parla di aumentare la produttività , lo sviluppo, né di diminuire la cassa integrazione».
Fra i lavoratori regna lo sconcerto. Molti lavorano in aziende dove la cassa integrazione ordinaria e straordinaria è uno strumento utilizzato da parecchi anni (Ilva e Fincantieri). Per altre si ventilano fusioni e scorpori come per l’Ansaldo del gruppo Finmeccanica.
«Stiamo vivendo un attacco che non ha precedenti – dice Andrea, 33 anni, dell’Ilva – l’articolo 18 è solo una parte del problema. Primo, se si ridimensionano gli ammortizzatori sociali in un periodo di crisi, ci si deve preparare ad affrontare un’emergenza sociale. Quindi siamo qui a manifestare il nostro dissenso a politiche che fanno pagare ai lavoratori l’effetto della crisi. Noi dell’Ilva abbiamo un accordo di programma e siamo un po’ più garantiti. Ma se non si fanno politiche industriali che creano sviluppo, il declino è inesorabile».
Stefano Bonazzi, rsu Fiom Elsag, 34 anni, un figlio in arrivo, aggiunge che «questa operazione viene fatta passare come restyling dell’articolo 18, ma è un tentativo di modificare completamente le condizioni di lavoro, le garanzie e le tutele per i lavoratori dipendenti di questo paese. Questa manifestazione dà  l’idea della voglia di reagire ai diktat di Roma. Leggendo i giornali, da un lato la riforma del contratto è molto fumosa, dall’altra le linee di fondo sono evidenti: maggior facilità  di licenziamento e riduzione consistente degli ammortizzatori sociali a fronte della peggior crisi del dopo-guerra. Poi c’è un ultimo aspetto che ci preoccupa ed è che il licenziamennto per motivi economici può dare il via a qualsiasi tipo di operazione. Ad esempio, perché il padrone di una fabbrica non può licenziarne dieci per tenerne in ostaggio mille?».


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