Sognava l’Italia e una promozione la vita frustrata del sergente killer
NEW YORK – Sognava di trasferirsi in una base in Germania o in Italia, lontano dalla prima linea e dagli agguati dei nemici, per trovare un po’ di pace dopo anni di missioni pericolose tra le periferie di Bagdad e le montagne dell’Afghanistan. Il sergente Robert Bales, il soldato “impazzito” che ha ucciso a sangue freddo sedici civili (soprattutto donne e bambini), non ne poteva più di quel «lavoro» cui aveva dedicato la vita.
Ci sono ancora molte zone oscure in questa terribile e orribile vicenda. Ci sono gli afgani che accusano il Pentagono di nascondere verità ancora più atroci, c’è una corte marziale che potrebbe condannarlo a morte, ma anche Bales è a modo suo una vittima, l’ennesima di una guerra che dura da oltre dieci anni. Il soldato che secondo i vicini era tutto «casa e famiglia», il padre che (quando non era in missione) giocava amorevolmente con i figlioletti di tre e quattro anni nel giardinetto della casa di Lake Tapps (Stato di Washington), si era confidato con la moglie, voleva cambiare, basta Iraq e Afghanistan. Lei, Karilyn, aveva affidato le sue angosce di donna del soldato a un blog. Che oggi forse aiuta a capire qualcosa di più.
Poco meno di un anno fa, era la fine di marzo del 2011, Karilyn affida al blog la sua (e del marito) frustrazione. Il sergente non ha avuto la promozione che sperava, quel passaggio a «sergente di prima classe», che era convinto di meritare dopo i suoi “tour” tra l’Iraq e l’Afghanistan. «Ci siamo rimasti male, dopo tutto quello che Bob ha fatto, tutti i sacrifici cui si è sottoposto per amore di questo paese, della sua famiglia e dei suoi amici».
Negli stessi giorni Karilyn spera che cambi qualcosa, che l’esercito lasci al sergente «un po’ più di autonomia nello scegliere la prossima destinazione» dopo tutti gli anni passati nella base Lewis-McChord (Stato di Washington), a Bagdad, nel Kandahar. Fa un elenco di dove vorrebbero andare. Due «prime scelte», la Germania («best adventure opportunity») e l’Italia («la seconda migliore opportunità »); ma anche le Hawaii («non c’è bisogno di spiegare»), il Kentucky («saremmo almeno vicini alla famiglia di Bob») o la Georgia («per insegnare a sparare ai cecchini, non certo perché sia un posto divertente»). Vanno bene tutte, perché da questi posti sarebbe «più difficile» che lo richiamassero in Iraq o in Afghanistan.
Èun blog in cui racconta le sue paure quotidiane, le partenze di Bob all’alba («e Quincy è venuta a dormire nel lettone»), la nascita della stessa Quincy mentre il padre si trovava in un aeroporto del Kuwait, i «brutti sogni» che ha iniziato a fare dal 2009 ogni volta che il marito si trovava al fronte. Racconta dell’orgoglio di Bob che va a combattere per l’America e per la libertà , ma anche della sua stanchezza, dello stress della guerra.
Quattro missioni di combattimento in un decennio, l’ultima che si è chiusa nel massacro di civili in quel piccolo villaggio di Panjwai, nella provincia di Kandahar, roccaforte della guerriglia talibana. Per i critici del Pentagono sono troppe, non si può chiedere ad uomini, per quanto bene addestrati, di affrontare così a lungo battaglie, agguati, violenze e morti. Per il portavoce dell’esercito non è questo il problema: «Ci sono molti soldati che hanno affrontato quattro periodi di missione, ma nessuno è accusato di quello che ha fatto Bales».
È così, ma c’è sempre una prima volta, e anche nell’esercito c’è chi teme che qualcosa del genere possa ripetersi. Le vittime da «stress da guerra» tra i soldati americani sono migliaia, le cure in diversi casi sono servite a poco o a nulla.
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