Dov’è finita la legge sull’omofobia?
Diciassette Paesi europei, dal Belgio alla Danimarca, dalla Svezia all’Olanda, dal Regno Unito alla Francia, dalla Spagna alla Grecia dispongono di una normativa di questo tipo. I parlamentari italiani ne hanno discusso per un paio d’anni. A luglio del 2011 l’hanno definitivamente affondata, nonostante le aperture dell’allora ministro Mara Carfagna, schierando un fronte contrario trasversale di appartenenti al Pdl, alla Lega, ai Responsabili, all’Udc e a Fli. Alle ragioni dei contrari, che non vogliono dare ai gay una tutela privilegiata nei confronti degli altri cittadini, si oppongono quelle dei promotori: l’obiettivo dell’aggravante dell’omofobia è di colpire la discriminazione, ripristinare la parità compromessa, non quello di creare una categoria iper-protetta. Stando ai dati del «Gay center», le segnalazioni di violenze e abusi sono molto aumentate, rappresentano il 38% delle chiamate. Si può decidere di crederci o di non crederci. Secondo l’«indice arcobaleno» stilato dall’Ilga, l’associazione internazionale della comunità LGBT, che attribuisce ai vari Paesi un punteggio che tiene conto sia delle tutele che delle aggressioni, l’Italia si piazza trentaquattresima, dopo Romania, Serbia e Slovacchia, nella classifica europea. Si può pensare che i criteri non siano sufficientemente attendibili. Ma il ministro Elsa Fornero ha appena detto che la sentenza della Cassazione che riconosce ai gay il diritto alla vita familiare sancisce «un principio vero di pari opportunità ». Ed è arrivato il momento di discutere su quale possa essere il modo migliore di metterlo in pratica.
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