Camusso e Marco Biagi «Mai nemico per la Cgil»

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Era il 19 marzo del 2002, tutti ricordiamo le immagini con quella bicicletta appoggiata al muro. Adesso il segretario generale della Cgil Susanna Camusso è sotto i riflettori di La storia siamo noi, il programma di Giovanni Minoli per Raidue, andato in onda ieri sera. Ed è inevitabile. Non si può parlare solo di ammortizzatori sociali, del ministro Fornero, di come è andato l’incontro del mattino che pure resta l’apertura di tutti i tg.
Il discorso torna a dieci anni fa, quando molti misero sotto accusa proprio la Cgil e il segretario generale di allora. Un mese prima dell’omicidio Sergio Cofferati aveva definito «limaccioso» il libro bianco preparato da Biagi e pochi giorni dopo aveva portato in piazza tre milioni di lavoratori, tutti al Circo Massimo per dire no (corsi e ricorsi storici) alle modifiche dell’articolo 18. Camusso sa che la ferita non si è mai rimarginata del tutto, annuisce quando Minoli le ricorda le feroci polemiche di quei giorni, prende fiato prima di parlare: «La Cgil può aver fatto errori di personalizzazione, la personalizzazione è sempre un errore anche se in alcuni casi è impossibile non farla. Ma aver citato tante volte una persona non vuol dire che si può essere considerati mandanti». Sbagliò allora la Cgil, le chiede il conduttore? «Credo possa aver confuso lo studioso con il governo ma mai ha avuto in mente l’idea di avere davanti un nemico e non un interlocutore». Minoli insiste, le chiede se a sbagliare sia stato Cofferati in persona: «Eravamo tutti convinti che quella stagione fosse conclusa» dice riferendosi al terrorismo che tre anni prima aveva ucciso un altro giuslavorista, Massimo D’Antona. E poi aggiunge che «non bisogna mai abbassare la guardia». L’inquadratura è sempre stretta, il primissimo piano marchio di fabbrica fin dai tempi di Mixer. Minoli le chiede cosa pensò all’epoca del libro bianco scritto da Biagi, quello che Cofferati definì «di colore limaccioso» perché «l’unico libro bianco che conosco è quello di Jacques Delors». Dice Camusso: «Pensai che avrebbe dato vita ad una fase di incertezza. Dieci anni dopo possiamo dire che avevamo ragione». E «se il rischio di tensione sociale c’è, bisogna dare risposte, non provocarne altra».
Nel faccia a faccia c’è spazio anche per altri argomenti. Per una frecciata a Walter Veltroni che a proposito della trattativa sul lavoro e sull’articolo 18 aveva definito la Cgil un «santuario del no». «Aveva annunciato progetti importanti per la sua esistenza che non ha portato a termine» dice Camusso riferendosi all’intenzione dell’ex leader del Pd di ritirarsi in Africa e lasciare la politica. La chiusura, invece, è tutta personale. Minoli le chiede che lavoro immagina per la figlia Alice, che studia lettere antiche a Pisa: «Dopo la laurea magistrale credo che continuerà  con la ricerca e temo che andrà  all’estero, il suo professore di greco era un americano». Uno dei tanti giovani costretto a lasciare l’Italia per mancanza di prospettive nel nostro Paese? «Spero che non vada all’estero per affetto di madre. Per fare un’esperienza direi sì ma vorrei che non fosse l’abbandono del Paese».


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