L’impegno collettivo di una terra eretica
Non è il neverending tour di Bob Dylan, anche se ci assomiglia. Piuttosto una corsa a tappe, di quelle che si organizzavano dopo i lutti e le devastazioni del dopoguerra. Senza grandi sponsor, messe in piedi con lo sforzo collettivo dei Circoli e delle Case del popolo, nelle città più grandi e nei piccoli paesi. C’è un denominatore comune fra la passione per la bicicletta e la passione per il manifesto, che esattamente popolare ma continua a trovare lungo il suo faticoso cammino tanti compagni e compagne di strada. Un denominatore comune che si chiama libertà , di pedalare come di partecipare a un’impresa collettiva che è il quotidiano comunista. Una ricchezza indivisibile, una proprietà non solo di chi lo mette in edicola come di chi lo tiene in piedi da quarant’anni. Acquistandolo, facendolo leggere, aiutandolo a vivere nel segno di quella eresia – comunismo e libertà – che qui in Toscana è stata una stella polare della vita di tutti i giorni.
Gli amici del manifesto vogliono sapere come vanno le cose, se è ancora possibile andare avanti o davvero il giornale è arrivato, con la liquidazione amministrativa della cooperativa editoriale, a fine pista. Soprattutto vogliono dare, ancora una volta, una mano. Sono in 150 alla Casa del popolo di Settignano e altrettanti alla 25 Aprile dell’Isolotto. Una trentina (soprattutto under 35) nello spazio sociale Il Melograno a Rovezzano, e un’altra trentina al rinnovato (e delizioso) circolo Arci La Casamatta nel centro di Massa. Cene, incontri e sottoscrizioni, destinate a nuovi abbonamenti al giornale, diretti di volta in volta nelle scuole, nelle biblioteche, nelle carceri. La quindicina di abbonamenti, cartacei e web, ottenuti grazie all’impegno di Riccardo (e Gabriella con le sue ragazze in cucina), Laura, Moreno, Massimo, Umberto, Giovanni, Michele, Daniela, Emanuele, Giancarlo e tanti altri/e ancora, non sono una goccia nel mare tempestoso in cui si trova il giornale. Piuttosto il segno, avvertito anche dagli ospiti della serata – Argiris Panagopoulos, Gabriele Polo, Gabriele Rizza e chi scrive – che l’impresa collettiva non è una utopia. Non lo è, nell’epoca in cui al fallimento del modello della statalizzazione forzata sovietica ha fatto seguito l’odierno fallimento, non dichiarato ma tangibile, del modello neoliberista degli ultimi trent’anni. Ora più che mai sarebbe paradossale per il manifesto non poter raccontare il periodo che stiamo vivendo. «Ma dovete essere più chiari – avvertono compagni, amici e sostenitori – senza essere semplicistici». Raccontando anche, in chiave «glocale», le loro piccole, ma faticose e quotidiane, lotte per tenere in vita, ai tempi del pensiero unico, una visione diversa della società . Un altro mondo ritenuto non soltanto possibile ma sempre più necessario.
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