Draghi si gode la stabilizzazione. Bundesbank no

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Un totale di quasi 1.000 miliardi di euro erogati alle banche al tasso di interesse più basso di sempre: l’1%. Una mare di liquidità , equivalente a circa il 60% del Pil italiano, che si è riversato nell’acquisto di titoli di stato (contribuendo alla diminuzione dello spread, per esempio), o direttamente in borsa visto che la azioni bancarie sono diventate di nuovo appetibili. Ma non c’è stato un vero trasferimento nel credito a imprese e famiglie. Quindi l’atteso effetto crescita| è rimasto silente. Le banche non si fidano e preferiscono addiritura tenere parte della liquidità  di nuovo nelle casseforti della Bce, a un tasso praticamente nullo, piuttosto che rischiare prestandoli a chi opera nell’economia reale.
Parlando a Parigi, ieri, Draghi ha esplicitamente invitato i governi ad «approfittare di questa fase di stabilizzazione economica per continuare a progredire». La direzione di questo progresso sono però gli «incrementi di competitività », quindi le «riforme strutturali» che dovrebbero servire a molti (quasi tutti, in realtà ) i paesi dell’Unione che hanno seri problemi di squilibrio nelle partite correnti (la differenza tra valore dell’import e dell’export). Il «gap» di competitività , secondo Draghi, dovrebbe preoccupare di più i vari governi; andrebbero ridotti sia «per il bene della loro propria prosperità , sia per la stabilità  complessiva dell’unione monetaria».
Al centro della «compressione» dovrebbero andare le retribuzioni. L’analisi di Francoforte dice infatti che questi costi sono aumentati più velocemente in quei paesi che hanno più forti squilibri di bilancio.
Ma anche le banche vengono sollecitate a sfruttare l’attuale bonaccia «per aumentare il grado di solidità  del prprio bilancio». E qui si nota una contraddizione forte tra le due indicazioni che Draghi stesso fornisce: «consolidare i bilanci» ed erogare credito in situazione di recessione continentale, quindi di maggior rischio, disegnano infatti un bel rebus da risolvere.
La strategia della Bce – una versione europea del quantitative easing della Federa Reserve Usa – continua però a non convincere Bundesbank. Il presidente della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, aveva nei giorni scorsi inviato una lettera a Draghi dove, di fatto, si diceva che queste operazioni di rifinanziamento servivano solo a «prendere tempo», mentre invece i rischi per le banche centrali sono andati aumentando in misura diretta della loro «dipendenza» da Francoforte. Ieri il membro tedesco del direttivo della Bce ha però preferito «addolcire» il dissenso con Draghi. «Non mi sento isolato nel direttivo Bce, poiché constato che gli argomenti che io o altri stiamo portando sono oggetto di discussione». anzi, «descriverei la mia relazione personale con Draghi come molto buona». Increspature maggiori meterebbero a rischio la ritrovata «stabilizzazione» finanziaria.


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