LA POLITICA E LA GIUSTIZIA

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Tra i tanti principi che sostanziano il garantismo vi sono la soggezione dei giudici alla sola legge e, conseguentemente, la loro indipendenza da ogni altro potere, nonché la tassatività  del reato così come stabilito dall’art. 1 del codice penale: «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge». Ora non v’è dubbio che il concorso esterno in associazione mafiosa è scritto nel codice, risultando dalla combinazione tra il reato specifico – 416 bis – di parte speciale e le regole sul concorso della parte generale. I problemi derivano dalla individuazione delle condotte concorsuali che, non rientrando nella tassatività  del 416 bis, si prestano ad interpretazioni non univoche da pm a pm, da giudice a giudice. C’è una oggettiva difficoltà  interpretativa che è pertanto rimessa alla valutazione di chi indaga o giudica e in ordine alla quale la Cassazione ha tentato di mettere ordine indicando alcuni “paletti” oltre i quali non si dovrebbe andare. 
È però pur sempre un’opera di giurisprudenza soggetta a cambiamenti, talvolta imprevedibili e per questo la dottrina più legata ai principi del garantismo da anni invoca una fattispecie specifica che delimiti questo reato che, si ripete, non è affatto campato in aria. Si sente l’esigenza che un cittadino, qualunque esso sia, potrebbe essere meglio tutelato con una norma specifica attraverso la quale capire quali comportamenti concorsuali sono sanzionati penalmente. Non c’è dubbio che, tipizzando il reato, un qualche comportamento “equivoco” rimarrebbe fuori dalla sanzione, ma è un rischio che bisogna correre a fronte del rischio di non sapere come regolarsi in questo campo così importante nella lotta alla mafia. Il garantismo impone la tassatività , anche perché la “fluida” combinazione tra il 416 bis e le regole del concorso rischia anch’essa, a seconda di chi giudica, di non sanzionare comportamenti di aiuto e supporto alla mafia. Certo ci vorrebbe un solido ancoraggio alla Costituzione combinato con una realistica individuazione di comportamenti specifici per scrivere nel codice una tal fattispecie e credo che, per il momento politico, ciò non sia possibile, potendosi paventare una ghiotta occasione per depotenziare proprio la lotta alla mafia: da una maggioranza parlamentare che ha cancellato il falso in bilancio e vorrebbe annacquare le regole sulla corruzione dilagante ci si potrebbe aspettare il peggio. Per ciò che concerne il problema giuridico, questa è la soluzione proposta e non si vede perché, in uno stato di diritto, debba essere la Cassazione e non il Parlamento a decidere cosa il cittadino debba intendere per concorso esterno. 
Il problema, però, è anche politico perché i tanti processi per concorso esterno, specie quando coinvolgono i politici, non trovando una legittimazione da parte della maggioranza dei cittadini ma solo tifoserie contrapposte, creano un disorientamento che non fa bene né alla giustizia, né alla politica. L’uso strumentale delle decisioni è fatale e le stesse vengono spostate dal piano giudiziario a quello politico, e viceversa, a seconda delle convenienze. Se l’on. Dell’Utri sia colpevole o innocente lo diranno i giudici, prescrizione permettendo. Non può essere rimesso però ad una sentenza il giudizio politico sullo stesso, fondatore di Forza Italia e cardine del potere del Capo, sui suoi rapporti – penalmente rilevanti o meno – con molti mafiosi e con lo stalliere di Arcore in primis e sul lassismo di quest’ultimo ventennio berlusconiano che ha permesso l’espansione delle mafie in tutto il Paese.
In ordine alla requisitoria del pg Jacoviello, si può dissentire o consentire, ma siamo sempre nell’ambito della indipendenza della magistratura: la cultura del garantismo ha i suoi costi, e se mettiamo in discussione un singolo episodio di libero esercizio della funzione requirente oggi, rischiamo di demolirla domani nella sua totalità .


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