Frammenti identitari in cerca di legittimità 

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«Berlusconi è al canto del cigno e il Pdl è chiamato a una ridefinizione». Un’affermazione di non poco conto circa il futuro del maggior partito della destra italiana. Con queste parole, raccolte in una delle tante interviste, in questo caso a Fabio Rampelli, ex Alleanza nazionale e ora deputato pidiellino, praticamente si chiude il lavoro di Daniele Nalbone e Giacomo Russo Spena Ripuliti. Postfascisti durante e dopo Berlusconi (Castelvecchi Rx, pp. 191, euro 14). Un saggio-inchiesta sui rapporti tra estrema destra e Popolo della libertà .
La genesi di queste relazioni politiche viene solitamente fatta risalire alla storica campagna elettorale di Roma del novembre 1993 per l’elezione diretta del sindaco, la prima in Italia con il nuovo sistema elettorale, in cui il segretario nazionale dell’Msi Gianfranco Fini giunse al ballottaggio con oltre il 35% dei voti, per attestarsi, come risultato finale, al 47%, a soli sei punti da Francesco Rutelli. Nell’occasione, l’allora presidente della Fininvest, Silvio Berlusconi, dichiarò pubblicamente le proprie simpatie e il proprio sostegno al candidato missino. Non fu l’inizio, in verità , dello sdoganamento del neofascismo italiano, come i due autori opportunamente ricordano, ma un suo passaggio fondamentale. Già  dieci anni prima, nell’estate del 1983, Bettino Craxi, incaricato di formare il nuovo governo, nel suo giro di consultazioni aveva ricevuto Giorgio Almirante, rompendo con la «gabbia» del cosiddetto «arco costituzionale». Un atto non fine a se stesso, ma nel contesto di una crescente politica anticomunista, con il Psi intenzionato a pescare nello stesso elettorato conservatore. L’Msi, dentro cui, grazie al fascino esercitato dal decisionismo craxiano e dalle sue derive presidenzialiste, si inizierà  anche a parlare nientemeno che di «socialismo tricolore», vagheggiando di possibili future alleanze, ricambierà  nel 1985 votando il decreto contro l’oscuramento dei canali di Silvio Berlusconi. Forse il vero inizio della storia.
Diversi, comunque, i motivi di interesse che emergono dalle pagine di questo libro. In primo luogo per i molti elementi di conoscenza offerti riguardo la natura delle destre italiane, ben lontane dal tradizionale conservatorismo europeo, prive con evidenza di qualsivoglia cultura ispirata ai valori costituzionali. L’Italia, anzi, a partire dal 1994, dal primo governo Berlusconi, con l’ingresso di ben cinque esponenti provenienti dal cartello elettorale Msi-Alleanza nazionale, ha rappresentato un vero e proprio laboratorio per le destre europee, includendo, senza più discriminanti, forze di tradizione fascista, identitarie e xenofobe, influenzando lo stesso Partito popolare europeo.
La recente parabola finiana è lì a dimostrarlo, con gran parte del vecchio gruppo dirigente di Alleanza nazionale e dei suoi militanti, rimasti nel Pdl. Una scelta di continuità , anche ideologica. Si rileggano alcune dichiarazioni del 2008, rilasciate in tempi non sospetti, al momento della fondazione del Pdl, da parte di alcune tra le figure più rappresentative del neofascismo italiano come Giulio Caradonna e Giuseppe Ciarrapico. «Un vero uomo di destra – disse il primo – trova un riferimento naturale nel Cavaliere, non certo in Fini». «Berlusconi non è mai stato antifascista», sentenziò il secondo.
Ancora più rivelatrice, nel libro, l’intervista a Marcello de Angelis, tra i fondatori del gruppo eversivo di Terza posizione, condannato negli anni Ottanta per associazione sovversiva e banda armata, voce del gruppo musicale 270bis, quelli di Claretta e Ben e Ho il cuore nero, divenuto in questi ultimi anni una sorta di inno del nazifascismo italiano.
Oggi de Angelis dirige il «Secolo d’Italia», dopo le dimissioni della finiana Flavia Perina. «Con Berlusconi il Movimento sociale venne letteralmente ripulito e sdoganato», questo il suo incipit. «Prima di Berlusconi, c’era una società  controllata da poteri imprenditorial-comunisti, da un’alleanza capital-comunista che voleva dominare l’Italia… per noi, e per la maggioranza degli italiani, solo Berlusconi poteva scardinare quegli accordi di potere… aveva la carta più alta di tutti: i soldi… in questa dimensione abbiamo potuto combattere politicamente quel mondo che ci aveva massacrato, che ci aveva rinchiuso in galera e che lo stesso aveva fatto alla nostra patria e al nostro popolo». In queste poche frasi anche la riproposizione di una lettura alternativa della vicende italiane, una sorta di surreale contro-storia con tanto di dittatura «capital-comunista», ma soprattutto le ragioni di una convergenza in nome del passato pienamente rivendicato.
Alla domanda, che anche Nalboni e Russo Spena si pongono, «cosa sarà  della destra italiana dopo Berlusconi», nessuno al momento è in grado di dare una risposta, ma solo formulare ipotesi. Tanto più oggi, alla luce della rottura con la Lega e in presenza all’interno della stessa creatura berlusconiana di spinte diverse, tra chi vorrebbe battersi per controllare il partito e chi punterebbe alla riaggregazione degli ex di An in un nuovo «polo nazionale». Restano i tanti denominatori comuni tra estrema destra e Pdl: il rifiuto di un orizzonte di uguaglianza sociale, l’opposizione alla società  multiculturale e multietnica, la volontà  di restringere i circuiti decisionali democratici e riformare la Costituzione, di superare l’antifascismo, di riscrivere la Resistenza come «violenza comunista» e gli anni Sessanta cancellando il terrorismo nero, ma anche la difesa della famiglia come unione «naturale» uomo-donna e la condanna dell’omosessualità . Si potrebbe continuare, ma sono questi, indipendentemente da ogni articolazione partitica e organizzativa, anche futura, i veri terreni di incontro, politici e culturali, di tutte le destre italiane.


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