Precari, movimenti e tute blu così nasce il partito antagonista

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ROMA – Eccola l’Italia all’opposizione. L’ha portata in piazza la Fiom di Maurizio Landini, un po’ sindacato, un po’ partito, un po’ movimento. Un ircocervo sociale. Sintetizza Marco Revelli, politologo, professore a Torino: «È l’Italia che non ci sta. Che non capisce perché debba stravincere Marchionne, che si domanda perché debba essere lei a pagare il prezzo più alto della crisi». Che non sta con il governo dei tecnici. Che indossa la felpa rossa con il brand “Fiom” con funzione identitaria.
Operai, studenti, precari, no Tav, cassintegrati, sindacalisti di base, agricoltori solidali, militanti della sinistra radicale, centri sociali, anti-nuclearisti e difensori dell’acqua pubblica. Quasi una classe se ancora fossimo nel Novecento. «Corpi solidi», come dice ancora Revelli, e non la liquidità  sociale di Bauman. Diversi dagli indignados spagnoli, e dai newyorkesi di “occupy Wall Street”. La Fiom è il collante del dissenso italiano di sinistra, è il catalizzatore di tanti orfani della politica, o di una «sinistra assente», come ripete Landini. Il quale, a fine giornata, minimizza: «È stato solo uno sciopero generale dei metalmeccanici». Ma non è vero. 
La Fiom ha perso un migliaio di iscritti nell’orribile 2011, a fine anno si ritroverà  con quasi un milione e mezzo in meno di introiti diretti per via della mancata trattenuta in busta paga da parte della Fiat, dove la Fiom non c’è più. Fuori. Le quote sindacali dovrà  andarsele a prendere una ad una. A New York abbiamo visto gli impiegati della Lehman Brothers uscire con i cartoni in mano dopo il fallimento della banca; a Mirafiori si sono visti i delegati della Fiom andarsene con le gigantografie di Antonio Gramsci e Bruno Trentin dopo aver detto no ai contratti dell’era Marchionne. È una questione di democrazia, dice la piazza. «E noi – aggiunge Landini – vogliano rientrare in Fiat dalla porta principale». 
La piazza ha fischiato e contestato l’intervento del segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere. Anche questa è l’anomalia della Fiom: autonoma e indipendente, «dai partiti e dai padroni», ma pure dalla sua stessa confederazione, la Cgil. Perché la Fiom, colpita duramente dal marchionnismo, vuole – da sempre – essere la “quarta confederazione”, accanto e diversa da Cgil, Cisl e Uil. La Fiom non fa solo sindacato, la Fiom ha un progetto per cambiare il «modello sociale», ha scritto ieri Landini sul Manifesto. E allora fischi anche al Pd, il grande assente in piazza San Giovanni. Ha scelto di non unirsi ai no Tav. «Eppure – commenta Fausto Durante, leader della minoranza riformista fiommina – al Pd la Fiom ha chiesto aiuto in Parlamento per una legge sulla rappresentanza sindacale. E sarà  il Pd, piaccia o meno alla Fiom, a votare in Parlamento. Non i rappresentanti del movimento della Val di Susa». Contraddizioni. Ma pure vecchie acredini nella sinistra.
Nel corteo, insieme ai metalmeccanici, c’è il leader dell’unica opposizione parlamentare, Antonio Di Pietro dell’Idv, e quelli della sinistra extraparlamentare, da Nichi Vendola a Paolo Ferrero fino all’operaista Marco Ferrando. C’è una sparuta rappresentanza democrat, dissidente. «Vecchie memorie», secondo Revelli, che si uniscono ai nuovi antagonismi.
«Il nostro è stato il primo sciopero generale da quando c’è il governo Monti», riflette Landini. Sciopero contro il governo, contro Marchionne, contro il ministro Fornero. Per difendere l’articolo 18, la democrazia in fabbrica e non solo. Sciopero politico, ammette il segretario della Fiom. Perché – dice – «i metalmeccanici hanno l’ambizione di avanzare il proprio progetto per la trasformazione sociale». Aggiunge: «Non ci sono aree riservate ai partiti. In questo sbaglia Bersani. La sua è una visione vecchia della politica». La Fiom, appunto, è un ircocervo.


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