Caro Presidente, difenda l’articolo 39
Eppure siamo di fronte a una vicenda di straordinaria gravità , una scelta che segna una lacerazione nel tessuto vivo della democrazia italiana. Ci riferiamo alla discriminazione che da tempo subiscono gli operai iscritti alla Fiom, i quali non vengono assunti negli stabilimenti Fiat a causa della tessera che portano in tasca. Poiché – com’è noto – la Fiom non ha firmato il contratto tra la Fiat e gli altri sindacati, siglato a Torino nel dicembre del 2011, essa rimane fuori dalla fabbrica e così gli operai che essa rappresenta.
Ora, a noi sembra che tale scelta della Fiat violi apertamente l’art.39 della nostra Costituzione, il quale sancisce la piena libertà sindacale.
Ma essa è in aperto contrasto con tutto il costituzionalismo europeo e in maniera evidente con la Carta di Nizza, che ha solennemente ribadito tale diritto nell’art.12, nell’art. 21 di Non discriminazione – «E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata in particolare(…) sulle convinzioni personali, le opinioni politiche»» – nell’articolo 28 che legittima il conflitto e il diritto di sciopero. Ricordiamo la Carta di Nizza non perché essa abbia più valore della nostra Costituzione, ma perché oggi sembra che il rimando all’Europa debba valere esclusivamente per i vincoli finanziari che ci viene imponendo, non per i diritti che riconosce.
Ma gli episodi della Fiat fanno parte di un processo che viola la «Costituzione vivente» del nostro Paese, demolisce conquiste sociali del XX secolo, fa arretrare la civiltà giuridica delle società industriali. Definire privatamente le regole di un accordo con i sindacati consenzienti, negando valore alla contrattazione nazionale, ed escludendo i sindacati in disaccordo, non solo viola il pluralismo sindacale. Un principio a cui gli innumerevoli liberali che oggi in Italia affollano la scena pubblica dovrebbero mostrarsi un po’ più sensibili. Ma tale scelta inaugura una rifeudalizzazione del diritto, apre alla creazione di domini particolari nelle relazioni industriali che colpiscono la stessa unità del Paese, a cui lei ha mostrato di tenere in sommo grado.
Lei sa bene, caro Presidente, che cosa ha significato per le classi lavoratrici meridionali il contratto unico nazionale. I lavoratori del Sud, in genere dispersi, male organizzati e poco rappresentati, hanno goduto della capacità contrattuale della classe operaia del Nord.
Il contratto nazionale di lavoro, sottoscritto e difeso dai sindacati, ha reso meno lacerante la divisione fra Nord e Sud, ha tutelato l’unità giuridica e sociale dell’Italia. Noi crediamo che il silenzio e, talora l’indifferenza, dei partiti e della stampa di fronte a tale questione nasca spesso dalla non condivisione della linea sindacale della Fiom. Consideriamo tale atteggiamento un grave errore.
I diritti riguardano tutti i cittadini e vanno difesi al di là delle posizioni e delle opportunità politiche. Molti immaginano che alcune restrizioni dei diritti, alcuni arretramenti di posizione, siano transitori e momentanei, dovuti alla difficile fase di crisi che attraversiamo. Ci permettiamo di ricordare che non è così. L’arretramento della condizione dei lavoratori è un’onda lunga che viene da lontano, e non investe solo l’Italia, e sta mettendo in discussione conquiste storiche di civilizzazione dell’Occidente.
Siamo di fronte a un mutamento strutturale e di lungo periodo a cui occorre opporsi con un nuovo moto solidale delle forze democratiche.
Caro Presidente, conosciamo i limiti della sua funzione istituzionale e non le chiediamo cose che non può fare. Ma lei, supremo custode della Costituzione, per il ruolo che ricopre e per i meriti personali della sua condotta, è la figura politica più autorevole d’Italia. Nel momento in cui ai ceti popolari vengono chiesti tanti gravi sacrifici, non faccia mancare la sua parola, la sua capacità di indirizzo, di persuasione morale su un punto che rischia di lacerare il tessuto civile del Paese, menomare gravemente un diritto fondamentale di milioni di lavoratori.
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