Landini: non faccio partiti. Ma il sindacato può occuparsi di tutto

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La mattina della vigilia Maurizio Landini la passa nella sede del Pd. Rompe il silenzio che si era imposto per spiegare le sue ragioni nella “tana del lupo”, nella casa del partito i cui vertici hanno deciso di non partecipare alla manifestazione di domani a causa del palco offerto ai No Tav. L’intervista è con l’Unità , anzi con il sito web del nostro giornale, ma si svolge negli studi di YouDem. E l’ospitalità  di YouDem è l’occasione di un incontro casuale tra Maurizio Landini e Pier Luigi Bersani. Due emiliani a Roma. Sigaro in bocca e sorriso sulle labbra, il segretario del Pd saluta cordialmente il segretario della Fiom: «Guarda chi c’è, in bocca al lupo per domani». «Crepi il lupo». «Scappo che devo andare in Parlamento a votare la fiducia a Monti, la darò anche a nome tuo». «Va bene, fai pure». Risata e pacche sulle spalle.
Finisce così un confronto, a tratti anche duro, fra il leader della Fiom e il direttore de l’Unità  Claudio Sardo. Alle domande, del resto, hanno contributo tanti lettori: e fra i temi toccati nelle decine e decine di messaggi arrivati in redazione tramite i social network spiccava proprio quello più spinoso: l’opportunità  dell’invito ai No Tav.
Si parte proprio da qui: «Perché una manifestazione centrata sui diritti del lavoro deve ospitare esponenti No Tav? Non è un segnale di debolezza cercare alleanze politiche esterne al sindacato, quasi a volersi costruire un partito?», ha chiesto Sardo.
Landini difende le sue posizioni e apprezza la decisione del giornale di partecipare alla manifestazione in nome della difesa dei diritti del lavoro. «Abbiamo invitato un ex sindaco, votato da sindaci, rappresentante delle istituzioni (Sandro Plano, presidente della Comunità  montana della Val di Susa, ndr). Noi siamo sempre stati No Tav, come siamo stati contro il nucleare, il Ponte di Messina e a favoredell’acqua pubblica: al centro della nostra manifestazione c’è uno sviluppo sostenibile del territorio». Il “no” del Partito democratico «non lo capisco molto: il Pd ha fatto un mescolone mettendo assieme cose diverse. Per me la distinzione è il rispetto dei lavoratori che saranno in piazza rinunciando al salario, è nella richiesta di rispettare la Costituzione alla Fiat, richiesta che abbiamo fatto ad ogni parlamentare: stare in piazza non significherà  stare con la Fiom, ma difendere la Carta».
Dire che la Fiom e Landini vorrebbero usare i problemi dei lavoratori per fare altro è «offensivo, io faccio il sindacalista, e chi mi conosce sa che lo farò sempre, e difendo gli interessi dei lavoratori». Poi, ricordando gli insegnamenti di Claudio Sabattini, il leader Fiom spiega: «Che il sindacato debba limitarsi a parlare solo di lavoro non mi convince. Il sindacato ha una sua autonomia e può confrontarsi alla pari, senza escludere argomenti». Landini, insomma, ha respinto l’accusa di essere un No Tav: «Io sono andato in Val di Susa per la prima volta all’ultima manifestazione e solo perché invitato dalle istituzioni. Ma lì sono rimasto colpito dal livello di discussione: non sono solo contro l’Alta velocità , c’è molta più analisi. E noi la apprezziamo perché, tornando al mondo del lavoro, quando Finmeccanica vuole cedere Ansaldo Breda (azienda italiana leader nel comparto treni, ndr) noi siamo preoccupati». E sul capitolo violenza la condanna è senza appello: «Non abbiamo problemi a condannarla perché abbiamo sempre fatto della non violenza la nostra condotta anche quando occupiamo le fabbriche».
Tante domande, comunque, riguardavano la Fiat. «Democrazia al lavoro» è il titolo che oggi campeggerà  in piazza. «Perché oggi sui posti di lavoro la democrazia è negata spiega Landini e la Fiat è l’esempio più lampante». Una Fiat che espelle la Fiom e l’Unità  dalle fabbriche, non assume i suoi iscritti a Pomigliano (nessuno ha quella tessera su oltre 2mila lavoratori richiamati), tiene fuori i tre operai Fiom di Melfi nonostante la sentenza di reintegra di un giudice. «Un elemento di arroganza, un messaggio intimidatorio: se sei della Fiom rischi guai». Gli 86mila lavoratori del gruppo dal primo gennaio «hanno un contratto che ha costruito sindacati aziendali e corporativi, un accordo senza precedenti in Europa dove la contrattazione sparisce, tutto viene demandato a commissioni paritarie nelle quali, se non c’è l’unanimità , alla fine decide l’azienda». Un accordo «reso possibile dalla richiesta fatta da Marchionne a Berlusconi, al desiderata dell’articolo 8 che permette di derogare dai contratti nazionali, andando contro anche all’accordo del 28 giugno». Un «modello Fiat che un candidato a Confindustria (Bombassei, ndr) vorrebbe estendere a tutti, derogando alle leggi, alla sicurezza sul lavoro». «I problemi della Fiat non sono i 10 minuti di pausa, sono la mancanza di modelli. Quali investimenti fa la Fiat è un problema del Paese». E quasi anticipando la convocazione per il 16 marzo di Monti a palazzo Chigi per Marchionne ed Elkann («ma non vorrei che fosse troppo tardi, negli altri Paesi i suoi concorrenti hanno spiegato gli investimenti ai governi da anni»), Landini accusa «il governo e la politica che per questi due anni sono stati a guardare». Due anni in cui «Marchionne ha chiuso Termini Imerese perché far attraversare l’Adriatico alle macchine costava troppo e ora dice che per salvare due stabilimenti in Italia dovremo vendere macchine negli Stati Uniti: ma l’Atlantico sarà  ben più largo dell’Adriatico, no? E noi dovremmo sperare che la massaia dell’Ohio ci salvi gli stabilimenti comprando Fiat?».
La logica del “tanto peggio, tanto meglio”, del boicottaggio alla Fiat, non fa parte della storia del sindacato e Landini lo ribadisce: «Noi siamo più interessati di Marchionne a che la Fiat investa in Italia, perché i lavoratori italiani non hanno alternative, mentre Marchionne può andare all’estero, loro no». Ma nessuno dica che il manager canado-abruzzese «investe»: «In Serbia e negli Stati Uniti i soldi non ce li mette lui, li prende da quegli Stati e poi si fa bello in Italia dicendo che non vuole più soldi pubblici».
Sul rapporto con Fim e Uilm, sulla spinta all’unità  sindacale, invocata da alcuni lettori, Landini ha risposto così: «L’unità  sindacale è un diritto di chi lavora più che una somma di sigle. È il diritto alla democrazia, il diritto di votare ogni accordo. Se il voto è libero, io sono per seguirne sempre l’esito. Ma sfido gli altri sindacati a fare lo stesso sull’accordo Fiat». Uno sciopero contro Monti? «Se il governo Monti fa cose perfino peggiori del precedente, noi dobbiamo dire che sbaglia. La questione delle pensioni è una gravissima».
La chiusura è sull’assioma sindacato-conservatore: «La Fiom non è il sindacato del “No”: noi vogliamo cambiare le cose, ridurre la precarietà , estendere gli ammortizzatori utilizzando una patrimoniale, dare un reddito di cittadinanza ai giovani».


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