LA DIGNITà€ E LA GIUSTIZIA CANCELLATE DALL’IPOCRISIA
Mentre l’eterna ipocrisia italiana sul tema dell’omosessualità è tornata alla ribalta in occasione della morte di Lucio Dalla, è opportuno aver presente come essa condizioni ancora il quadro istituzionale all’interno del quale si colloca l’intera questione. Nel 2010 la Corte costituzionale italiana ha affrontato il tema del matrimonio tra persone dello stesso sesso, dando due specifiche indicazioni. Ha ritenuto che solo il Parlamento possa decidere l’estensione agli omosessuali del diritto di sposarsi. Ha aggiunto, però, che alle persone dello stesso sesso, unite da una convivenza stabile, «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».La Corte ha così riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fronte ad una delle “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione. Ed ha usato una espressione assai impegnativa, parlando di un “diritto fondamentale” che attende pieno riconoscimento.
La sentenza è stata giudicata “pilatesca”, perché la Corte avrebbe potuto direttamente riconoscere alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi se fosse correttamente partita dal principio di eguaglianza, come vuole la buona regola del ragionamento costituzionale, invece di mettere in primo piano la tradizionale nozione di matrimonio. Ma non è soltanto una questione di eguaglianza. È anche, o soprattutto, una questione di dignità . Dopo la rivoluzione dell’eguaglianza, infatti, i tempi più recenti hanno conosciuto la rivoluzione della dignità . «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata»: così si apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E la nostra Costituzione ci dà una indicazione ancora più precisa. La norma sull’eguaglianza, l’articolo 3, si apre con parole particolarmente forti e significative: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale». Eguaglianza e dignità , dunque non possono essere separate, e quest’ultima si presenta immediatamente come dignità “sociale”, dunque come principio che regola i rapporti tra le persone, il nostro essere nel mondo, il modo in cui lo sguardo altrui si posa su ciascuno di noi. E bisogna aggiungere che la Carta dei diritti fondamentali ha messo sullo stesso piano le unioni eterosessuali e quelle tra persone dello stesso sesso. Se mai il legislatore italiano affronterà il problema, come dovrebbe, la strada è segnata.
Intanto, però, il Parlamento rimane colpevolmente silenzioso rispetto all’altra questione sollevata dalla Corte, che ha esplicitamente parlato di un diritto fondamentale delle coppie omosessuali. Questo diritto continua ad essere negato da una inammissibile prepotenza parlamentare, che ignora un suo preciso obbligo e subordina un diritto fondamentale alla congiunzione tra fondamentalismo di destra e “prudenza” di sinistra. Sono passati due anni dalla sentenza costituzionale e nessuno, tra Camera e Senato, ha concretamente agito perché fosse messo all’ordine del giorno un provvedimento istituzionalmente necessario e urgente. Al suo posto troviamo l’esibizione continua di un linguaggio violento da parte di politici autorevoli (si fa per dire), che ha accompagnato il ritorno esibito di una omofobia che sfocia in aggressioni, che ha visto negare l’approvazione di una modesta norma in questa materia, che a Milano ha fatto giudicare intempestiva una ragionevole iniziativa del sindaco a favore delle unioni tra persone dello stesso sesso. Così l’Italia è sempre più prigioniera di quella “politica del disgusto” analizzata da Martha Nussbaum. Parliamo di rispetto delle persone, e intanto ne violiamo dignità e diritti.
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