Dal «balzo in avanti» al boom in dieci parole

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Questo è un libro che i cinesi non possono leggere: non solo sarebbe stato bloccato dalla censura, ma l’autore non l’avrebbe mai potuto scrivere con tanta libertà , per via dell’autocensura interiorizzata da decenni. Pur scritto in cinese, è pubblicato solo all’estero, prima in Francia, poi in America e oggi in Italia. La versione cinese, l’autore la manda agli amici, con discrezione. È dunque un privilegio di noi occidentali poter guardare dentro la società  cinese attraverso la lente di ingrandimento che Yu Hua ci offre con questa appassionata e intelligente riflessione. Il libro si intitola La Cina in dieci parole (Feltrinelli, traduzione di Silvia Pozzi, pp. 229, euro 18,50) e segue altre opere di pura narrativa di Yu Hua uscite in Italia: Torture, Vivere!, Cronache di un venditore di sangue, Il mondo come fumo, Brothers, Arricchirsi è glorioso.
Le dieci parole scelte per raccontare il passaggio della Cina da paese della rivoluzione a paese del boom economico sono: Popolo, Leader, Lettura, Scrittura, Lu Xun, Disparità , Rivoluzione, Morti di fame, Taroccato, Intortare. Un decalogo personale per dipanare un’intricata matassa. I vertiginosi cambiamenti sopravvenuti nella società  cinese nello spazio degli ultimi trent’anni danno, secondo l’autore, l’immagine di uno sviluppo in cui causa ed effetto sono invertiti: «Siamo quotidianamente immersi in un turbinio di effetti, ma raramente cerchiamo di comprendere le cause che li hanno prodotti». È invece proprio questo lo scopo che Yu Hua persegue: risalire alle cause partendo dagli effetti, servendosi come materiale delle storie della sua vita, di quelle di amici e conoscenti, di verità  che appartengono al sapere collettivo, di eventi narrati dai giornali o da Internet.
Fra i tanti interessanti spunti che offre il libro, spicca lo stretto collegamento che lo scrittore fa emergere fra la Cina contemporanea e la Cina della rivoluzione. Il totale riorientamento delle finalità  e delle parole d’ordine è stato realizzato utilizzando alcune modalità  tipiche della fase maoista. La società  ha nuovi ideali, ma questi vengono messi in atto con i vecchi sistemi. Nei progetti faraonici e dispendiosi che si moltiplicano nella Cina di oggi, spesso senza aver ricevuto alcuna autorizzazione, Yu Hua vede un richiamo al volontarismo e al gigantismo del Grande Balzo in Avanti, che voleva accorciare la distanza con i paesi più sviluppati in pochi anni.
Della Rivoluzione culturale permane la violenza onnipresente: dagli sfratti forzati dalle case delle zone che devono essere demolite, alle battaglie per il possesso del timbro, minuscolo oggetto nel quale sessant’anni di comunismo hanno concentrato l’enorme potere di conferire legalità  a qualsiasi atto pubblico, dalla nomina dei funzionari ai contratti fra le imprese. Le battaglie per il possesso dei timbri, proprie delle fazioni delle Guardie rosse per assicurarsi la supremazia, si ripetono oggi fra gli azionisti di certe imprese. La conquista del timbro per assicurarsene il controllo trasforma gli impeccabili signori in doppiopetto nei peggiori banditi. Anche la fioritura dei blog cui si assiste oggi in Internet ricorda quella dei dazibao durante la Rivoluzione culturale, spazi di espressione, ma anche di affermazione personale.
La società  cinese, rileva Yu Hua, vive in un paradosso: il blocco della riforma politica e l’accelerazione di quella economica hanno determinato uno sviluppo unilaterale. Le contraddizioni sociali hanno generato il caos nella visione del mondo e nella scala dei valori. In seno alla società  si sono accumulati sentimenti diversi che si sono liberati sotto forma di farsa, di rivolte sociali dirette contro l’autorità . Il fenomeno dei falsi, ad esempio, è un risultato di questo sviluppo unidimensionale, esprime aspetti negativi ma anche positivi, il ribaltamento dei valori e la sfida libertaria e irridente. Non sono solo i prodotti a venir taroccati, ma le pubblicità , i personaggi (i sosia di Mao) e persino i programmi televisivi, come la serata di Capodanno che circola su Internet, una seguitissima presa in giro di quella ufficiale. Un’altra conseguenza di questo sviluppo non armonioso è il raggiro, una sorta di arte dell’imbroglio praticata dalla gente nei confronti del potere, e viceversa. Yu Hua cita, fra i tanti esempi, l’ondata di divorzi per approfittare di qualche norma che favorisce le madri single; anche le autorità  imbrogliano le masse, ad esempio mettendo all’asta i marciapiedi ai venditori ambulanti, o i nomi delle strade, o i numeri civici.
Lo sviluppo economico non porta necessariamente alla democrazia, risponde Yu Hua agli intellettuali occidentali, persuasi che un’economia di mercato possa realizzarsi solo in un sistema democratico. Il «miracolo economico» cinese, al contrario, è dovuto anche al potere assoluto di cui godono i governi locali. È l’assenza di trasparenza politica che ha permesso lo sviluppo folgorante dell’economia cinese.


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