Quella fuga disperata da Homs «Così sono scampato all’assedio»

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Sembrava una di quelle comitive tipiche della Spagna picaresca descritta da Francisco de Quevedo. Una fila interminabile di invalidi, donne e bambini dall’aspetto cencioso. Uno dei feriti, in mutande, aveva le gambe, la testa e un braccio bendati e con l’unica mano libera teneva la flebo. Camminava appena. C’era un ferito al piede, che procedeva saltellando. Ahmed, lacerato dalle schegge di una granata a un braccio e ad una gamba, si appoggiava a Mohamed, a sua volta zoppicante col foro di proiettile di un cecchino nella schiena. Facevano parte dello stesso convoglio anche i giornalisti Paul Conroy e Edith Bouvier, entrambi feriti, e altri reporter stranieri, tra cui l’inviato speciale che scrive. Perfino i veicoli in cui si viaggiava sembravano più destinati alla rottamazione, che a quell’improbabile periplo. Camionette con la carrozzeria trapassata dalle pallottole, una con una gomma bucata. Incalzati dall’offensiva finale dell’esercito fedele al regime contro Baba Amr, una cinquantina di persone, di cui molti feriti, lunedì scorso hanno tentato con un’azione al limite dell’assurdo di rompere l’assedio intorno al quartiere di Homs. Un periplo notturno attraverso le linee delle forze armate siriane, così azzardato da rivelare la disperazione di un popolo abbandonato al suo destino. 
Il tragitto è cominciato alle 9 di sera. Le jeep stracolme di fuggitivi si sono messe in marcia per strade deserte e immerse nell’oscurità , a estrema velocità  e luci spente, per non allertare i cecchini. La popolazione di Baba Amr aveva già  subito situazioni talmente folli, che per alcuni nelle jeep quello sembrava un gioco. Ridevano vedendo il giornalista coprirsi la testa con il computer per proteggersi. «Zitti, per favore!», ha ordinato un ribelle. Ma un altro giovane era consapevole del pericolo. Non smetteva di pregare. I veicoli potevano essere utilizzati solo per una parte del percorso. Per il resto bisognava andare a piedi. 
Improvvisamente, il cielo si è illuminato. Le truppe governative dovevano aver sentito qualche rumore e dai loro mortai cominciavano a sganciare bengala. «A terra, a terra!». «I cecchini, i cecchini!». Il grido di allarme ha provocato un primo fuggifuggi tra le rovine degli edifici vicini. Alcuni feriti sono rimasti stesi a terra, immobili: chi li trasportava si era eclissato. «Mamma, mamma!», i bambini chiamavano le madri, terrorizzati. I componenti dell’Esercito libero siriano (Els) che scortavano il corteo cercavano di far stare zitti i piccoli. Ma era troppo tardi. Il drappello si trovava a pochi metri da una postazione militare. I lamenti dei piccoli avevano già  messo in guardia i soldati. 
La sparatoria è cominciata in modo totalmente improvviso. Prima solo una raffica, che ci spinto al riparo tra i cespugli. Poi una pioggia di munizioni, che ha disperso il gruppo. Siamo corsi per campi e abitazioni, circondati dal buio totale mentre i colpi fischiavano. Il sottoscritto ha seguito due fuggitivi, che poi si sono rivelati essere Ahmed e Mohamed. Il primo sembrava aver dimenticato le schegge, trottava a una velocità  incredibile. Il trio si è poi infilato nella boscaglia. Acquattati per più di un’ora, mentre gli spari risuonavano vicino. Ahmed è un palestinese di 23 anni, nato nel campo profughi di Hama. Si è unito alla rivolta dall’inizio. Combatteva tra le file dell’Els; si vantava di aver distrutto 17 blindati prima di essere ferito. Adesso vorrebbe andare in Libano per farsi curare. Mohamed era il suo compagno di «katiba» (brigata). Anche lui puntava al Libano. «Che facciamo?». «Dove andiamo?». Ci sentivamo perduti. Dopo la sparatoria, la campagna era tornata a immergersi nel silenzio totale, quasi più inquietante del caos appena finito.
Alle volte la vita segue regole illogiche. L’unico straniero presente si è reso conto che quella era la via per entrare a Baba Amr, e Ahmed e Mohamed gli hanno lasciato il comando. «So solo che a sinistra c’è l’esercito. Bisogna girare a destra, poi non so», ho spiegato. Ci siamo messi in marcia, in fila, frenati dalla paura e dalle ferite dei miei compagni. Mohamed sembrava stesse per crollare, doveva avanzare appoggiato alle nostre spalle. Finalmente abbiamo raggiunto un’area abitata. A Homs, la rivolta è generale. È bastato che Ahmed bussasse a una porta e si facesse riconoscere che alcuni giovani ci nascondessero. Poco dopo stavamo già  scappando, in quattro su una motocicletta. La notte è dei ribelli. La moto si è fermata davanti a una pattuglia dell’Els sulla strada. Grazie a loro abbiamo raggiunto un villaggio lontano dai soldati. Abbiamo poi chiesto notizie sul resto del gruppo. «Hanno catturato almeno due combattenti, due feriti e un giornalista». Si riferivano al britannico Paul Conroy. Era una notizia falsa. Il fotografo del Sunday Times è riuscito a fuggire. Il destino di Bouvier e del fotografo William Daniel rimaneva confuso. Poi si è saputo che avevano dovuto ripiegare con molti altri, ma erano «in salvo». Giovedì sera, la famiglia di Bouvier ha annunciato che era in Libano. 
La sorte di Baba Amr è decretata. Qui, la rivolta sembra sia stata schiacciata, ma continua altrove. A Sud di Homs, a Qusair, per esempio, i ribelli dicono di controllare più di metà  della città . Questo però non impedisce di dover ancora entrarvi a velocità  folle, per evitare i cecchini e dei blindati.
La guerra non ha alcun metodo. Nessun insegnamento permette di prevedere chi vivrà  e chi diventerà  un numero nelle statistiche. Nella stessa giornata in cui il sottoscritto è riuscito a superare l’assedio di Homs, gli oppositori hanno denunciato la morte di 64 persone che cercavano di fare lo stesso. Sembra che molti fossero donne e bambini. Per Assem, un operaio di 36 anni arruolato tra le file dei ribelli, la possibile sconfitta a Baba Amr — quando abbiamo parlato non era ancora una certezza — non riuscirà  a piegare la rivolta. «(Bashar) non lo ha capito. Io, per esempio, gli volevo bene quando prese il potere. Pensavo fosse diverso dal padre. Se solo ci avesse dato un poco di libertà , saremmo rimasti in silenzio. Ma ogni volta che uccide i nostri familiari, aumenta il desiderio di ucciderlo».
*El Mundo
traduzione di Francesca Buffo


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