Cina, il villaggio della democrazia al voto

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PECHINO — Per adesso sembra un voto che tutti vinceranno: elettori e Partito comunista. Stasera, dopo lo spoglio, chissà . A Wukan, villaggio costiero del Guangdong, barche da pesca nel porticciolo e animi caldi, oggi è la giornata delle urne. Nel settembre dell’anno scorso, qui era cominciata a montare una rivolta contro la confisca e la svendita di terreni a una joint venture sino-hongkonghese, e a dicembre l’insofferenza nei confronti dei leader locali del Partito aveva provocato una ribellione. Dieci giorni d’assedio medievale, arresti, minacce e la morte di uno dei capi della sollevazione, Xue Jinbo, mentre stava nelle mani della polizia. Non era bastata la fuga dei funzionari corrotti per bloccare la crisi che, nel frattempo, offriva un esempio da imitare a comunità  vicine afflitte dagli stessi problemi di corruzione e complicità . Le mosse dialoganti del segretario comunista della provincia del Guangdong, Wang Yang, avevano sparigliato le carte. Uno smilzo pool di mediatori, procedimenti disciplinari contro i compagni dirigenti che sbagliavano, congelamento delle confische e nomina a n. 1 locale del Partito di Lin Zuluan, anima dei ribelli. Non solo: le urne. A Wukan sono state applicate le procedure previste dalla legge per le elezioni a livello locale, le uniche consentite in Cina. E se «le autorità  hanno perso interesse per le elezioni “di base”», come diceva al Corriere l’attivista Li Fan prima delle consultazioni di novembre nei quartieri di Pechino, Wukan va invece in controtendenza. I circa 8 mila aventi diritto hanno 21 candidati tra i quali scegliere un comitato di 7 persone, capo villaggio incluso. Vigila un comitato di controllo di 107 membri. Lin è certo di essere eletto. In settimana, durante i comizi di presentazione, giurava «di servire il popolo e di fare quel che c’è da fare». Applausi. Non tutti coloro che si presentano godono però della stessa fiducia. In un clima vivace, con l’uso del cinese mandarino rimpiazzato con il dialetto locale man mano che la discussione si scaldava, chi è stato visto come possibile quinta colonna degli speculatori non ha avuto gloria, come tale Chen Chang, ascoltato nel silenzio. Xue Jianwan, figlia della vittima di dicembre, ha invece ammesso all’Ansa che spera di non essere eletta: «C’è forte pressione da parte della mia famiglia. Hanno paura di quel che può succedere dopo». Gli slogan sugli striscioni sono quelli ufficiali del Partito. Che rivendica la paternità  dell’intera opera di normalizzazione, dalla fine delle violenze alla nomina di Lin a segretario locale, al voto. Il segretario del Guangdong, Wang Yang, punta a un posto nel comitato permanente del politburo al congresso d’autunno. Il Quotidiano della gioventù è uno dei giornali che hanno lodato la soluzione della crisi e l’«approccio nuovo e lucido per risolvere i conflitti sociali, che tiene conto sia dei diritti del popolo sia della necessaria stabilità ». La cooptazione dei capi della rivolta è stata un successo strategico e d’immagine del Partito, che ha comunque lavorato per spaccare il fronte dei riottosi. Proprio in contemporanea, tra oggi e lunedì, a Pechino si apre la sessione annuale del Parlamento, l’Assemblea nazionale del popolo. Migliaia di delegati che da Wukan aspettano solo buone notizie.


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