Al voto. Ma più che alle elezioni gli iraniani pensano alle sanzioni

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La tv di stato iraniana prevede «un’alta affluenza al voto» e i titoli dei giornali sono invariabilmente pieni di «entusiamo» e «aspettative». Oggi gli elettori iraniani sono chiamati alle urne per rinnovare il parlamento: è la prima consultazione su scala nazionale dopo le contestate presidenziali del giugno 2009. E nei titoli dei giornali, negli slogan dei manifesti elettorali, negli ultimi discorsi dei dirigenti politici in chiusura della campagna elettorale, l’invito a votare domina su ogni altro messaggio. Il ministro dell’intelligence, Heydal Moslehi, ha ammonito che l’Occidente complotta per far fallire le elezioni: andare alle urne è un dovere patriottico. «Elezioni vibranti saranno un pugno in bocca al nemico», ha detto il Leader supremo, ayatollah Ali Khamenei, durante un incontro pubblico. Del resto, tutte le forze dell’opposizione riformista hanno fatto appello a boicottare le urne: poter dire che gli iraniani hanno votato in massa servirà  a dimostrare che l’opposizione non ha ascolto, che la legittimità  del regime è solida – e che la nazione è unita contro «l’arroganza dell’Occidente».
La previsione ufficiale dunque è che almeno il 60% degli elettori andrà  a votare, e pochi dubitano che sarà  smentita, quale che sia il dato reale. Un sito legato all’opposizione ieri riferiva che il ministero della cultura di Tehran ha ordinato ai giornali di trasmettere «entusiasmo» per le imminenti elezioni, minacciando multe e sanzioni. Vero o no, i media sono all’unisono.
L’entusiasmo d’ufficio però contrasta con il clima prevalente tra gli iraniani, le difficoltà  di molti ad arrivare a fine mese, l’incertezza generale per il futuro. La politica economica resta uno dei principali terreni di scontro tra il governo del presidente Mahmoud Ahmadi Nejad e il parlamento uscente, dominato da fazioni politiche conservatrici ma ostili al presidente: uno scontro di potere tutto interno all’establishment, non per questo meno feroce. 
All’inizio di febbraio il governo ha presentato il suo progetto di legge finanziaria, e il presidente lo ha definito un budget «contrattivo», in cui la spesa pubblica sarà  ridotta del 6,5% (il budget si fonda su una previsione di 85 dollari a barile per il petrolio come media annua, e su un cambio di 12mila rials per dollaro). Diversi editoriali hanno però attaccato: si parla di contrazione ma le voci di spesa per le imprese pubbliche sale, le cifre non sono chiare, e così via – l’approvazione della finanziaria sarà  una forca caudina per il governo. Il presidente ha ripetuto che in Iran «l’economia sta benissimo»: ma il governo ha annunciato che taglierà  il pagamento mensile distribuito a pioggia nell’ultimo anno alle famiglie iraniane per compensare il taglio delle sovvenzioni sul prezzo del carburante.
La polemica era già  esplosa quando, in gennaio, il valore della moneta nazionale sul mercato informale è crollato: fino a 20mila rial per dollaro, anche se il cambio ufficiale restava fisso a 11mila. I cambiavalute hanno chiuso bottega per qualche giorno, mentre in parlamento risuonavano accuse contro il ministero del tesoro che rifiutava di intervenire. Infine l’intervento c’è stato, il cambio ufficiale è stato portato a 12.200 rial per dollaro e il presidente Ahmadi Nejad ha finalmente acconsentito ad alzare il tasso ufficiale di interesse sui depositi bancari. L’argomento era: in Iran circola una notevola massa di denaro, ma con un futuro incerto pochi investono, mentre la classe media corre a comprare dollari (e oro) per salvare il valore dei propri risparmi; alzare la remunerazione bancaria dunque serviva a drenare un po’ del denaro fluttuante. Anche se molti restano scettici: in un clima di crescente tensione internazionale, le sanzioni, la minaccia di guerra di cui si fa un gran parlare – non basta un tasso d’interesse bancario più alto a rassicurare i cittadini. 
Ai primi di febbraio intanto l’Istituto statistico nazionale ha rivelato che la disoccupazione è in ascesa (sfiora il 14% nell’anno che si concluderà  il 21 marzo) e la partecipazione economica in declino. Sulle attività  economiche intanto pesano le sanzioni comminate alle banche iraniane, che rendono sempre più difficile per i piccoli imprenditori esportare e importare. Secondo il dato ufficiale, 340mila posti di lavoro sono stati persi nell’ultimo anno, ma quasi tutti gli economisti a Tehran sono convinti che la situazione sia peggiore, molti parlano di un milione di disoccupati in più. I prezzi salgono, l’inflazione è ufficialmente al 21.6 per cento su base annua ma i più sono convinti che sia molto più alta, forse il doppio.
Le feste del capodanno persiano sono in arrivo, ma tra gli iraniani si diffonde il pessimismo. Certo non un motivo in più per andare a votare.


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