«Ritirata tattica» degli insorti

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La battaglia di Baba Amr è finita. Le unità  scelte della quarta divisione meccanizzata delle forze regolari hanno espugnato le ultime sacche di resistenza dei disertori del cosiddetto “Esercito libero siriano” (Els, con base in Turchia) e preso il controllo di questo quartiere di Homs divenuto la principale roccaforte della ribellione armata contro il regime del presidente Bashar Assad.
Scambi di raffiche di mitra si segnalavano ieri in serata solo a Sultaniyeh, a sud di Baba Amr, mentre gruppetti di disertori rimanevano nel sobborgo Juret al Arayess.
Dopo 26 giorni di combattimenti e bombardamenti, e centinaia di morti – secondo i bilanci dell’opposizione siriana non verificabili da fonti indipedenti -, oggi il Comitato internazionale della Croce rossa e la Mezzaluna rossa finalmente entreranno a Baba Amr per portare cibo e medicine e per evacuare chi ne ha bisogno. La conferma della vittoria delle truppe governative è giunta mentre il Consiglio Onu per i diritti umani adottava la risoluzione – con 37 voti favorevoli e tre contrari (Russia, Cina e Cuba) – presentata a inizio settimana da Qatar e Turchia con la quale si chiede al regime di Damasco di «fermare le violenze» e consentire «l’accesso senza ostacoli» alle aree interessate dagli scontri in Siria al fine di garantire gli aiuti umanitari. 
Il capo dell’Els, colonnello Riad al Asaad, ieri parlava di «ritirata tattica», per non mettere in pericolo «le vite dei civili». Solo i prossimi giorni chiariranno le conseguenze della caduta di Baba Amr. In ogni caso la «ritirata tattica» rappresenta un duro colpo per i disertori anti-Assad che dopo aver perduto Homs, potrebbero ora dover arretrare anche dagli altri centri abitati vicini confini con il Libano, la Turchia e la Giordania, dove hanno stabilito molte delle loro basi. E’ forte perciò l’irritazione nelle capitali arabe che sponsorizzano l’Els.
Il primo ministro del Qatar, Hamed ben Jassem al Thani, ha annunciato che il suo paese è pronto a valutare «tutte le opzioni» contro Bashar Assad. «La Siria rappresenta un problema importante per noi e per l’intera regione, e un problema importante da un punto di vista umano», ha detto al Thani, secondo il quale Damasco deve accettare subito la risoluzione della Lega araba (presentata anche al Consiglio di sicurezza dell’Onu e bloccata dal veto di Russia e Cina) che prevede l’uscita di scena immediata di Assad. Scende in campo anche il Kuwait che chiede il riconoscimento immediato del Consiglio nazionale siriano (Cns, principale fronte dell’opposizione siriana), di armare i disertori e di sospendere ogni relazione diplomatica con Damasco. I ministri degli esteri delle petro-monarchie si incontreranno domenica a Riyadh per discutere di Siria.
E’arduo fare previsioni ma la caduta di Baba Amr potrebbe aprire la strada ad una fase nuova, più politica e meno armata, e togliere l’iniziativa a quelle parti, regionali e internazionali, che spingono per far precipitare la Siria nel baratro di una guerra civile di tipo libico. Il 7 arriverà  a Damasco l’inviato speciale Onu per la Siria, Kofi Annan. L’ex-segretario generale delle Nazioni unite ha detto ieri alla stampa che in Siria porterà  «un messaggio chiaro»: le violenze e le uccisioni devono cessare, «si deve garantire alle organizzazioni umanitarie di poter fare il loro lavoro».
Intanto le autorità  siriane hanno negato di avere rifiutato il visto d’ingresso alla responsabile delle operazioni umanitarie Onu, Valerie Amos, e si sono dette pronte a concordare una data per la sua missione al fine di discutere gli aiuti alle popolazioni colpite dalle violenze.


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