Debiti dello Stato un piano per restituire 20 miliardi alle imprese

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ROMA – Ci saranno tre giocatori in campo, Banca d’Italia, Tesoro e il sistema bancario, per chiudere definitivamente la partita dei debiti che le imprese vantano nei confronti della Pubblica amministrazione. Settanta miliardi è la cifra che gira, anche se in realtà  sarebbero 50 quelli effettivamente certificati dai creditori, su cui quindi il Tesoro potrebbe porre un marchio di garanzia. Senza quello le banche avrebbero più difficoltà  a entrare in campo per chiudere la partita. 
La soluzione è una complessa operazione di ingegneria finanziaria. A fare il primo passo sarà  l’imprenditore. Con le sue fatture (che attestano per esempio la fornitura di una partita di biancheria per una Asl), andrà  alla sua banca, che si assumerà  il compito di valutare qual è l’ammontare del credito e soprattutto la sua esigibilità . Se non trova intoppi, l’istituto valuterà  quanto è disposto a “pagare” quel credito e il relativo rischio, perché è quest’ultimo che effettivamente acquista la banca, il rischio che il creditore non paghi. In gergo è quella che si chiama una cessione pro-soluto e che implica una negoziazione. 
L’azienda di credito non pagherà  infatti tutto l’ammontare del credito all’imprenditore, ma solo una parte. L’altra è il prezzo per l’assunzione del rischio. Che va comunque pagato e visto che di liquidità  in giro ce n’è poca e che il denaro costa tanto, la banca, con i documenti che attestano il credito, confezionerà  un “collaterale”, un titolo (che contiene una garanzia) e lo cederà  alla Banca d’Italia contro finanziamenti al tasso dell’1 per cento. Lo stesso con cui la Banca centrale europea sta finanziando il sistema bancario europeo. Palazzo Koch, d’altra parte, ha una notevole liquidità , e ha la possibilità  di gestirla anche per un’operazione di questo tipo, tanto più da quando Francoforte ha allargato alle Banche centrali dei singoli Paesi lo spettro di titoli e prestiti che possono essere portati in garanzia. 
Più che un’ipotesi di lavoro, l’operazione “rimborso-crediti”, sembra già  a buon punto. D’altra parte l’articolo 35 del decreto sulle liberalizzazioni parla chiaramente di «misure per la tempestività  dei pagamenti, per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali». 
Ma obiettivo del governo non è solo pagare le imprese, ma smaltire poco a poco l’intero stock del debito, lasciando il Tesoro senza più arretrati. Per ricominciare da capo, tendendo conto, tra l’altro, che una normativa europea, non ancora recepita, impone che le commesse per la Pubblica amministrazione siano liquidate entro 30 giorni, senza ritardi. Sulle imprese l’effetto positivo sarebbe quello di incassare liquidi in un momento in cui le banche tengono chiusi i rubinetti e, se li aprono, il costo del finanziamento è elevato, soprattutto per le piccole e medie imprese. 
Un’operazione che rischia però di dimezzare i crediti vantati dalle imprese. Di quei 50 miliardi iniziali, si potrebbe scendere alla metà , vuoi perché l’operazione costa, vuoi perché le banche negozieranno con gli imprenditori. E non è detto che tutti i crediti riescano a ottenere il marchio di garanzia per essere trasformati in collaterali e venduti alla Banca d’Italia. 
«L’operazione è praticabile, ma ci sono almeno due ostacoli su questa strada», commenta un banchiere che vuole mantenere l’anonimato. «Il primo ostacolo è la qualità  del credito, le banche stanno molto attente quando devono fare queste operazioni, perché acquistare il rischio di credito significa acquistare anche il rischio truffa e non solo quello. La riscossione non è mai certa: un ospedale può non voler pagare la fornitura di una partita di siringhe, sostenendo che erano difettose. Sarebbe necessaria una cartolarizzazione del credito, per capire qual è quello esigibile. Un processo un po’ lungo, ma possibile». E forse un lavoro che il Tesoro ha già  avviato. 
«L’altro ostacolo è rappresentato dalla quantità  di credito che si può portare in Banca centrale – certo, se c’è la garanzia del Tesoro… Vedo più che altro difficoltà  di processo, ma l’operazione va bene. La banca avrebbe a bilancio da una parte un credito dall’altra un debito. Può funzionare».


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