Michigan, Romney gioca in casa ma oggi “motor town” tifa per Obama
BLOOMFIELD hills – Per trovare l’unico cartello che inneggia a Mitt Romney, qui a Bloomfield Hills, il paradiso a mezz’ora dalla desolazione di Detroit dove l’uomo che vuole cacciare il primo presidente nero dalla Casa Bianca è cresciuto tra i milioni del papà governatore, bisogna spingersi nel dedalo di lussuosissime ville oltre Woodward Avenue e fermarsi davanti al 164 di Kirkwood Ct: dove l’unico cartello che inneggia a Romney è proprio quello piantato davanti a casa Romney.
Cuor di famiglia: il fratello maggiore, Scott, abita qui. Avvocato notissimo, ex boss della Michigan State University, mister Romney ha riannodato la sua potente rete per evitare che sulla prestigiosissima famiglia si abbatta l’onda della vergogna. Gli ultimi sondaggi danno Mitt al 39 per cento e Rick Santorum, l’italoamericano che fino a due mesi fa era un perfetto sconosciuto, al 37: ma la forbice è troppo stretta e la battaglia che stasera deciderà le sorti del Michigan rischia di determinare l’intera guerra di queste incredibili primarie.
L’unico cartello che inneggia a Romney a RomneyCity è la fotografia migliore del grande avvenire che il candidato repubblicano si sta lasciando dietro alle spalle. Quattro anni fa si aggiundicò le primarie del Michigan con 9 punti di vantaggio. Come ha fatto a ridursi così? Semplice: quattro anni fa non si era ancora schierato contro i bailout, cioè i salvataggi dell’auto voluti da Obama che hanno rimesso in piedi l’industria: come ha ricordato all’America perfino il repubblicano Clint Eastwood nel suo chiacchieratissimo spot Chrysler. «Lasciamo che Detroit vada in bancarotta» era il titolo invece dell’assai poco profetico intervento che nell’autunno del 2008 Romney affidò al New York Times: e Detroit non gliela perdona.
Il fatto è che se stasera riuscirà lo stesso a espugnare la città dei motori, a parte l’Arizona dove è già in vantaggio, comunque vada sarà un disastro. «Perché vincerà grazie a quegli slogan che a novembre gli faranno perdere l’intero Michigan». Jack Lessenberry, analista politico, firma storica del Detroit News e docente alla Wayne State University, spiega a Repubblica la simpatica contraddizione. «Si è spostato sempre più a destra per prendere i voti dei più conservatori. E alle primarie magari funziona. Qui in Michigan, uno stato da 10 milioni di persone, andranno oggi al voto molto meno di un milione, solo i più motivati. Ma a novembre sarà un’altra storia. Questo è uno “swing state”, gli indipendenti sono il 40 per cento, e anche i repubblicani sono molto meno conservatori di come si dipinge Romney: perfino suo padre oggi non lo riconoscerebbe».
Già , suo padre, il fantasma che aleggia ineluttabile. George Romney, il povero mormone nato in Messico che dal nulla costruì l’impero di famiglia trasformando l’American Motor Company in una delle grandi di Detroit. George che negli anni 50 costruì l’unica chiesa mormone di tutto il Michigan proprio qui, di fronte ai terreni di famiglia su Woodward Avenue. George che quando decise di scendere in politica non sapeva ancora se correre per i repubblicani e i democratici. George che da governatore del Michigan fu benedetto perfino dai sindacati dell’auto. George che perse la nomination alla Casa Bianca proprio perché troppo poco conservatore. George che uscì dall’amministrazione di Richard Nixon perché non gli volevano far dare le case popolari ai neri.
Mitt corre con quel fantasma sulle spalle. E sulle orme del padre si aggiudicò lui stesso il governo del Massachusettes, il suo stato di adozione, con un programma liberale che adesso, di fronte agli attacchi di Santorum e Ron Paul, ha rigettato. Dice però sua sorella Jane al New York Times che «Mitt somiglia più alla mamma che al papà ». E questo sì che spiegherebbe tante cose di “Zelig” Romney. La mamma attrice: la bella Lenore LaFount che mollò i film con Greta Garbo, Jean Harlow e Clark Cable per amore di George il mormone. E che per tenere alta la bandiera politica dei Romney tentò anche lei di salire a Washington: un posto al Senato. Dicono che anche quel fallimento pesi su Mitt. Che infatti è ossessionato dall’idea di mostrarsi uomo e imprenditore di successo.
«Il senatore Santorum è un bravo ragazzo – ha detto ieri spavaldo – ma non ha mai lavorato nel privato: è tempo che si concentri un po’ sull’economia». Quello, che ha già infangato la memoria di John Kennedy rigettando la sua divisione tra Stato e chiesa, gli ha risposto sbandierando sul Wall Street Journal un programma che al confronto Ronald Reagan era un comunista. Mentre Ron Paul indottrinava i ragazzi della Michigan University su come far ripartire Detroit cancellando, e ti pareva, lo stato. E Newt Gingrich qui non si faceva vedere neppure: già a fare campagna nella sua Georgia. Tutti in gara per mostrare chi è più destro. Poi nel paese di Romney trovi solo un cartello che inneggia a Romney. E davanti alle fabbriche del Michigan gli operai cantano “Forza Obama”.
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