Allora è vietato criticare le merci
Una macchina provata in pista. Un risultato sgradito al produttore. Un Tribunale al lavoro. Una condanna mostruosa che seppellisce tra sgommate e idrocarburi il diritto di critica. Sembra questa, a farla breve, la storia che ha contrapposto Corrado Formigli (ai tempi inviato di Anno Zero) e la Fiat. Nel servizio venivano riportati i dati di un test comparativo in cui il prodotto MiTo Alfa Romeo risultava inferiore per velocità rispetto a due modelli concorrenti. Un collegio di periti ha quantificato il danno in sette milioni di euro. Solidarietà a Corrado Formigli, che insieme alla Rai si trova nell’eventualità di far fronte a un’enormità del genere, merita forse soffermarsi proprio sulla determinazione del danno patrimoniale e sulla linea sottile che corre fra diritto di critica e denigrazione.
Perchè, lo confesso, un pensierino ce l’ho fatto anch’io. Questo: perché non chiedere a quel tal critico che una volta ha stroncato un mio libro, con argomentazioni da me non condivise, i danni per le mancate vendite presso un tot di lettori del suo giornale, da quantificare secondo qualche funambolico calcolo? Prendendo per buona la sentenza torinese, infatti, ci troviamo di fronte a un interessante precedente che farà in qualche modo scuola per noi produttori di opere. Come tutti ci ripetono a ogni passo, libri, dischi, film, spettacoli, cultura, sono «solo» merci, prodotti di un’industria e, come gli altri prodotti, vengono piazzati sul mercato con tanto di investimenti, promozioni e lavoro di comunicazione.
Dunque, se accettiamo il principio per cui una critica deve essere completa – riportare cioè tutti i parametri riguardanti le prestazioni di un dato prodotto – tutti i critici televisivi, letterari, cinematografici dovrebbero provare brividi lungo la schiena. Per esempio potrei chiedere al noto critico dell’importante quotidiano famoso per le sue antipatie, o la sua misoginia, o certe sue idiosincrasie e paturnie, di rendermi i soldi per le mancate vendite di un libro perché nello stesso pezzo l’ha messo a confronto con un altro che gli è piaciuto di più. I registi potrebbero fare lo stesso reclamando l’importo dei biglietti non staccati nei cinema a causa della recensione troppo tiepida. E così i critici televisivi potrebbero esser ritenuti colpevoli di un calo d’ascolto di un programma, e quindi chiamati a risarcire i mancati introiti pubblicitari.
Ora, questo non avviene mai perché stiamo parlando di prodotti e autori abituati a sottostare all’esame e alla critica. Di quelle critiche – anche quelle ritenute non costruttive, insomma: le stroncature tout court – normalmente si fa tesoro. Altrimenti (lo sconsiglio vivamente), ci si lagna scrivendo al giornale, aprendo un confronto, contestando nel merito e difendendo la bontà del proprio lavoro. Potrebbe la Fiat condividere questo meccanismo così unanimemente accettato da chi lavora in altri campi? Possibile che l’opera di ingegneria sia più protetta dalle critiche dell’opera di ingegno?
Ora però, dopo la sentenza di Torino, sappiamo che tutti i nostri prodotti hanno diritto a una critica completa e non parziale o faziosa che dir si voglia: così come Formigli avrebbe causato un danno alla MiTo esaminando solo uno dei suoi parametri (la velocità ), anche noialtri potremo esigere che il recensore non si soffermi solo sullo stile, o sui tempi televisivi, o sulla trama di un film ma debba ogni volta aggiungere: «però la copertina è bella», «il dibattito in studio interessante», «le luci sul set messe bene». Altrimenti avrà denigrato il prodotto e pagherà tot centesimi per ognuno dei sui lettori.
Come si vede, è un terreno scivoloso, su cui converrebbe muoversi con più cautela (consiglierei gomme da bagnato). Inquieta però vedere come esista una parte del Paese totalmente disabituata all’esercizio della critica, e come esista una zona franca in cui certi prodotti sono più prodotti di altri. Chissà , forse la critica – e la critica delle merci in particolare – è un lusso per paesi civili e culturalmente avanzati che noi al momento non possiamo permetterci. Altrimenti, è difficile non vedere dietro questa vicenda un’intimidazione alla libertà di stampa (cos’altro sarebbe, chiedere sette milioni di euro a un giornalista?).
Tutto questo in margine. Quanto all’Alfa Romeo MiTo, tengo a precisare che è un’ottima macchina, spaziosa e confortevole, carina, maneggevole e adatta a noi signorine. Lo dico con grande sincerità . E anche perché sette milioni non ce li ho.
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