Vaticano Quando divisioni e veleni colpiscono un potere millenario

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Le recenti cronache ci hanno raccontato i nuovi “veleni” vaticani. Che hanno stupito e fatto discutere perché di colpo sono emerse critiche e conflitti – come sempre, da verificare – che, prima, non affioravano quasi mai alla ribalta dell’opinione pubblica. Ed è come se avessimo assistito in qualche modo alla fine storica di un’antica segretezza. E magari ci sono anche venuti in mente i tempi antichi delle corti, quelli tra Medioevo e Rinascimento. Con la differenza però che per quei secoli, le notizie provengono da pamphlet, satire, dispacci di ambasciatori, cronache e altro ancora, le cui modalità  di diffusione non possono certo essere paragonate a fenomeni alla Wikileaks di oggi. Non a caso qualcuno ha usato il termine “Vatileaks”.
Nel passato, alcune fonti, come i diari dei maestri delle cerimonie pontificie del Rinascimento, non sono nemmeno state scritte per essere diffuse. Eppure è anche da loro che apprendiamo l’esistenza di “veleni” e scontri personali che appaiono talvolta emblematici dei rancori che possono nascere e svilupparsi in corti complesse come quelle dei papi del Medioevo e del Rinascimento. Come non pensare al ritratto che Paride de Grassi ci ha lasciato del suo celebre predecessore Giovanni Burcardo: «Se fosse stato umano, la nostra arte ne sarebbe uscita ingrandita, ma lui non soltanto non era umano, ma bestiale più di tutte le bestie e invidiosissimo»… 
Improperi e gesti violenti potevano verificarsi persino alla presenza del papa. Nel giugno 1486, il cronista romano Stefano Infessura annota che mentre il cardinale Giovanni Balue tentava di convincere il papa di invitare il duca di Lorena a far valere i suoi diritti sul regno di Napoli, contro il cardinale «si scagliarono il vicecancelliere Rodrigo Borgia (futuro Alessandro VI) e il cardinale Savelli che gli rivolsero molte parole ingiuriose e offensive», cui il cardinale Balue rispose per le rime, affermando che il «il vicecancelliere era un marrano»…
Tradimenti non sempre verificabili riguardano il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), forse il più conflittuale della storia del papato medievale. Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna non sarebbero riusciti ad entrare l’8 settembre 1303 nella città  di Anagni per catturare Bonifacio VIII senza la complicità  di due cardinali, Riccardo Petroni e Napoleone Orsini! Lo ricorderà  lo zio dell’Orsini, il cardinale Matteo Rosso Orsini, rimasto fedele a papa Caetani. I due cardinali Colonna, Pietro e Giacomo, lanciarono contro Bonifacio VIII persino l’accusa – infondata – di avere indotto con l’astuzia il suo predecessore, Celestino V (1294), a compiere “il gran rifiuto”. I rancori di cui fu vittima Bonifacio VIII erano anche dettati da comportamenti personali. Per i contemporanei, già  da cardinale, il Caetani «pensava di non essere mai stato ingannato da alcuno» e «si vantava di poter confondere gli uomini con le sue parole».
Insomma, in una corte, la gestione dei propri comportamenti era una condizione indispensabile per evitare conflitti. Tratteggiando nel 1627 le doti personali del Cardinale Nipote, l’ambasciatore veneziano Pietro Contarini proporrà  un ritratto ideale dell’alto prelato di curia, che si dimostra capace di «evitar l’odio che per l’ordinario suole cadere sopra quelli che si veggono più vicini; et lo fa maggiormente per non ingelosire il cardinal Barberini» (Antonio Menniti, Il tramonto dela Curia nepotista, Roma, Viella, 1999).
In una corte dalle relazioni sociali sovente fluide e labili, sottomesse a continue oscillazioni, tra ascesa e declino, il miglior modo di non subire ingiustizie o conflitti era pur sempre quello di disporre di un indiscusso prestigio. O di farlo credere… Secondo Salimbene de Adam (m. 1288), il cardinale Ottaviano Ubaldini (m. 1272), ricordato da Dante nella sua Divina Commedia (Inferno X, 120), «sapendo di non avere le grazie del papa, e che la cosa era stata divulgata da molti della curia e di altre parti, faceva credere di avere la grazia del papa» sostando «a chiacchierare con qualche chierico nell’anticamera, fino a che non era sicuro che tutti i cardinali fossero usciti». Sperava così «che lo considerassero il cardinale più importante della corte»…
L’esistenza di documenti in cui si espongono forti critiche, peraltro non destinate ad essere pubblicate, contro organi curiali, ha sorpreso e ha fatto discutere. Anche a questo riguardo, le differenze con il passato antico sono notevoli. Nel Medioevo e nel Rinascimento, critiche anche polemiche potevano essere lette persino alla presenza del papa. Il 13 maggio 1250, a Lione (città  in cui Innocenzo IV aveva celebrato un concilio per deporre l’imperatore Federico II), il cardinale Giovanni Gaetano Orsini lesse in concistoro, quasi d’improvviso, una memoria che il sapiente vescovo di Lincoln Roberto Grossatesta – “fondatore” dell’università  di Oxford – aveva consegnato ad alcuni cardinali e allo stesso pontefice e che conteneva una fra le più severe denunce della politica della curia romana del Duecento. Non fu un caso isolato, tutt’altro. 
La situazione evolverà  però dal Cinque e Seicento in poi. In sintonia con nuove forme di vita sociale all’interno delle corti sovrane europee, la radicalità  degli scontri personali ed anche della formulazione di critiche e polemiche lascerà  il passo a modalità  nuove, meno irruenti e più segrete. Di qui la nostra sorpresa nel vedere, oggi, come tanti secoli fa, il ritorno in primo piano, proprio dall’interno del Vaticano, di polemiche e scontri personali cui non eravamo più abituati.


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