Khader, il «Bobby Sands» dei palestinesi: da 63 giorni in cella senza cibo

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Ha deciso di usare il suo corpo come strumento di denuncia. Fino all’estreme conseguenze. Il suo nome è Adnan Khader. È il «Bobby Sands» palestinese. Due mesi dopo aver intrapreso uno sciopero della fame per protesta contro il suo arresto, lo sceicco Khader Adnan, un militante della Jihad islamica, è in condizioni gravissime, in pericolo di vita.
SIMBOLO
L’avvertimento è giunto dalla organizzazione dei Medici per i diritti umani, che lo ha vistato cinque volte durante la sua detenzione in Israele. Un appello urgente è stato sottoposto alla Corte suprema di Israele, affinché ordini la sua immediata liberazione. Adnan è stato arrestato a Jenin (Cisgiordania) il 17 dicembre e successivamente una Corte militare ha stabilito nei suoi confronti quattro mesi di «arresti amministrativi», per ragioni di sicurezza che non sono state illustrate all’interessato. Malgrado l’uomo fosse in condizioni fisiche molto degradate, gli arresti sono stati confermati una seconda volta il 7 febbraio scorso. In questo periodo Adnan (33 anni) ha perso 30 chili. Secondo la organizzazione Medici per i diritti umani, «tutti i suoi muscoli, compreso il cuore e lo stomaco, rischiano di disintegrarsi» e il sistema immunitario «potrebbe essare di funzionare in qualsiasi momento».
Negli ultimi giorni ha accettato di assumere alcuni sali minerali e glucosio, ma egualmente viene ritenuto in pericolo di vita. La sua lotta viene seguita con grandissima partecipazione e commozione dalla popolazione palestinese nei Territori, con frequenti aggiornamenti sulla stampa e sui mezzi di comunicazione. Manifestazioni di protesta e di sostegno alla famiglia di Khader Adnan si sono moltiplicate negli ultimi giorni. Anche in Israele la sua lotta sta ricevendo crescente attenzione dopo che il romanziere Sami Michael ha scritto al ministro della Difesa Ehud Barak per convincerlo a «sottoporre Khader a un regolare processo, se ci sono accuse fondate nei suoi confronti, oppure a liberarlo incondizionatamente».
SOLIDARIETà€
Decine di palestinesi reclusi nel carcere israeliano di Ashqelon, a sud di Tel Aviv, rifiutano da ieri il rancio in solidarietà  con Adnan. L’avvocato di Adnan ha formalizzato ieri l’annunciato ricorso alla Corte suprema israeliana contro la detenzione del suo assistito. L’altro ieri manifestazioni popolari di sostegno e denuncia sono state organizzate dalla Jihad Islamica sia a Jenin sia nella Striscia di Gaza, al termine delle preghiere del venerdì. Ma la solidarietà  verso Adnan sta superando i confini della fazione d’appartenenza. Lo stesso presidente moderato dell’Autorità  nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha rivolto un appello alla comunità  internazionale affinché faccia pressione su Israele. Appello raccolto fra gli altri da Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell’Ue, la quale in una nota ha sollecitato ieri le autorità  israeliane a rivedere il caso.
Richard Falk, Osservatore speciale per le Nazioni Unite per i Diritti umani dei palestinesi scrive: «Il caso di Khader Adnan rappresenta un microcosmo che descrive da solo l’insopportabile crudeltà  (a cui sono sottoposti i palestinesi), conseguenza del prolungato stato di occupazione. Mette in evidenza il contrasto tra la dignità  a cui ha diritto un prigioniero israeliano e l’irriducibile rifiuto a prestare attenzione all’abuso subito da migliaia di palestinesi lasciati a marcire nelle prigioni israeliane per detenzione amministrativa o sentenza della Corte. Ma non abbiamo ancora raggiunto un livello di maturità  nel nostro riconoscimento dei diritti umani tale da dichiarare senza riserve illegale un tale stato di barbarie? Ci auguriamo che la terrificante esperienza di Khader Adnan non si concluda con la sua morte e che possa innescare una protesta a livello mondiale sia contro la “detenzione amministrativa” che contro gli abusi subiti dai prigionieri. Il popolo palestinese ha già  sofferto più che abbastanza».


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