Il dr. De Tormentis ha un nome

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Un ex funzionario di polizia accusa Nicola Ciocia: era lui il torturatore dei brigatisti

Che Nicola Ciocia non sia stato un ispettore qualsiasi è abbastanza chiaro, altrimenti il Viminale non l’avrebbe inserito, tra il 1978 e il 1982, dopo il sequestro Moro, nelle squadre speciali addette agli interrogatori che dovevano schiacciare e azzerare le Br. Forse un missionario, nel senso di un uomo con una missione da compiere. E oggi un suo collega, «Rino» Genova, lo accusa di avere avuto la caparbietà  di portarla a termine ad ogni costo.
Nome in codice dottor De Tormentis, sarebbe stato lui, tra gli altri, a essere scelto dal vice questore Umberto Improta per far confessare gli arrestati, e lui avrebbe poi impiegato metodi non ortodossi come il waterboarding. Una tecnica terribile, usata anche in guerra, e ai giorni nostri in Iraq o Afghanistan in spregio alle convenzioni delle Nazioni Unite, che consiste nel legare le mani dietro la schiena della vittime, alzargli le gambe sopra la testa e fagli ingurgitare acqua e sale in modo da togliere il respiro, provocando la sensazione dell’annegamento. Così nel ’78 è stato torturato il brigatista Enrico Triaca, poi condannato a due anni per calunnia per aver denunciato le torture. Solo «grazie» alla stessa tecnica avrebbe in parte parlato Ennio Di Rocco. Il quale, catturato contemporaneamente a Stefano Petrella, venne trovato in possesso delle chiavi di appartamenti-rifugio delle Br, e sottoposto a continua violenza per fargli confessare gli indirizzi dove si trovavano molti suoi compagni, tra cui Giovanni Senzani. Una “soffiata” sotto costrizione che gli costò poi la vita, ucciso in carcere durante una partita di pallone.
Ad accusare Ciocia è appunto Salvatore Genova, ex funzionario dell’Ucigos ligure. Le sue dichiarazioni sono contenute anche nel libro Colpo al cuore di Nicola Rao, ma è stato il giornalista Fulvio Bufi del Corriere del Mezzogiorno a dare un nome e un volto al «Dottor De Tormentis». Eppure credere che questo sia un ufficiale isolato sarebbe da ingenui. In quegli anni la tortura nelle celle della polizia politica era prassi comune, e le squadre speciali che giravano per l’Italia non ne facevano nemmeno un segreto. Lo stesso Genova ha accusato altri colleghi, i cui nomi però sono ancora tenuti sotto silenzio. Ma i trattamenti disumani e feroci sono stati denunciati negli anni anche da tantissimi brigatisti, solo che nessuno gli ha mai dato retta.
Hanno parlato gli ex Br e non solo del waterboarding, ma anche della tecnica usata ad Abu Ghraib di tenere per ore i prigionieri appesi per le braccia, oppure quella di provocare bruciature su tutto il corpo compresi gli organi genitali. L’annientamento psicologico, che per le donne comprendeva anche lo stupro, era sistematico e perpetrato senza scrupoli. Ora forse si potranno iniziare a scrivere i diversi nomi dei torturatori sugli omissis protetti e consentiti dallo Stato.
Alberto Buonoconto, uno dei primi nappisti catturati, era uscito talmente sfigurato da un interrogatorio che, sebbene avesse rifiutato qualsiasi denuncia proprio perché non credeva nella giustizia dello stato, l’allora giudice Lucio Di Pietro stabilì di procedere d’ufficio. Nemmeno a dirlo, il perito inviato dal tribunale stabilì che Buonoconto era stato vittima di violenza, ma ormai non può raccontare più nulla perché si è suicidato a casa dei genitori appena uscito di prigione.
Ora viene fuori il nome di Ciocia, ormai un uomo anziano con l’apparecchio acustico di 73 anni che vive rinchiuso nella sua bella casa napoletana del Vomero, tra un busto di Mussolini e montagne di libri di diritto. Dal 1984, infatti, ha lasciato la polizia per dedicarsi all’avvocatura, rifiutando il trasferimento da Napoli. Convinto fascista, è stato commissario della Fiamma tricolore, e attivo almeno fino al 2003. Lui ora nega ogni addebito, ma nel libro di Rao si era dilungato in descrizioni crudissime; ammette solo di avere schiaffeggiato una volta un nappista, che tra l’altro smentisce l’episodio. In molti, avvocati e magistrati dell’epoca – tra questi Libero Mancuso, candidato lo scorso anno alle comunali di Napoli per Sel -, lo difendono descrivendolo come una «persona correttissima». Ma si sa, quella è stata una pagina nera della storia italiana, con un’infinità  di sfumature. In realtà  che le torture ci fossero, nei sotterranei delle caserme, lo sapevano tutti; avvocati e giudici che arrivavano in aula con l’imputato “già  confessato”.
Lo stesso Genova fu accusato di aver torturato i fiancheggiatori delle Br per ottenere le informazioni sul nascondiglio di Dozier. Ma perché ora dovrebbe accusare proprio Ciocia (e non solo) e dopo più di trent’anni, quando quei reati non sono nemmeno perseguibili in quanto ormai prescritti? Di regola non si dovrebbe mai terminare un articolo con un punto di domanda, ma purtroppo su questa faccenda sono ancora tanti i silenzi e le responsabilità  da accertare.

Fonte: Francesca Pilla – Il Manifesto


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