VENTI ANNI DOPO

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Quando un fatto diventa fiction, la sua consacrazione a evento periodizzante è definitiva. All’arresto di Mario Chiesa (il presidente socialista del Pio Albergo Triulzio, colto in flagrante il 17 febbraio 1992 mentre intascava una busta di 7 milioni di lire) è toccato il destino involontario di segnare, nell’immaginario collettivo, la fine di un’epoca, quella della cosiddetta Prima Repubblica, e l’inizio di un’epoca nuova, che per colmo di paradossi avrebbe finito con l’incarnarsi, due anni dopo, nella figura di Silvio Berlusconi, demiurgo della cosiddetta Seconda Repubblica. Dalla quale stiamo, o staremmo, uscendo (non è tipica della storia italiana la ciclicità  ventennale?) con la tecnocrazia di Mario Monti.
Fu vero inizio? Così la progressione appunto immaginaria, come immaginarie sono tutte le rappresentazioni lineari della storia. A smentirla, dimostrando che la storia spesso si ferma e non procede o regredisce, la sentenza della Corte dei conti, un quadro dello stato «dilagante» della corruzione che rispetto a vent’anni fa non accenna ad arretrare e che, dice la Corte, è stata combattuta con lo strumento sbagliato, la chirurgia penale, e non con quello giusto, una riforma adeguata della pubblica amministrazione. 60 miliardi di euro all’anno in fumo fra mazzette, prebende, incarichi illeggittimi: il tutto mentre si muore di crisi impiccati al fiscal compact dell’UNione europea.
Sembra la fotografia di un tempo immobile, ma purtroppo non lo è. Perché intanto l’acqua del ventennio ha scavato sotto i ponti, e la situazione non è la stessa di vent’anni fa: è di gran lunga peggiore, dal punto di vista politico, non solo contabile e criminale, il ventennio avendo smascherato tutte le illusioni seminate dal «vento del cambiamento» del ’92, e bruciato tutte le scorciatoie che allora si presero per (non) cambiare davvero. Chi allora si fece troppo facilmente sedurre dalle promesse di una rivoluzione mancata, si trova oggi a fare i conti con le sue ambigue premesse realizzate. In mezzo, l’era berlusconiana. Davanti, irrisolto, il problema dell’integrazione europea, lo stesso – il trattato di Maastricht era stato firmato il 7 febbraio 1992, dieci giorni prima dell’arresto di Chiesa – che innescò il terremoto di Tangentopoli.
Non da oggi (si rilegga, nel nostro sito web, l’inserto speciale che il manifesto dedicò al decennale), la vicenda della “transizione italiana” innescata da Tangentopoli-Mani pulite si può riassumere in quattro paradossi. Salutato – anche a sinistra – come un nuovo inizio, quell’evento ha aperto in realtà  una lunga stagione di restaurazione. Cominciato all’insegna della rivolta antipartitocratica, ha dato la stura a un umore antipolitico sempre più dilagante, che oggi non fa distinzioni e non cerca prigionieri. Magnificato come l’ingresso dell’Italia in una “normalità ” democratica non più gravata dai blocchi ideologici novecenteschi, ha aperto la strada alla “eccezione” berlusconiana. Vissuto come la vittoria della legalità  delle procure sull’illegalità  della classe politica, ha premiato per diciassette anni una classe politica che dell’illegalità  ha fatto la sua bandiera e scatenato un conflitto truccato fra potere legislativo e potere giudiziario. La risultante principale di questi paradossi si chiama Silvio Berlusconi, ma non è sensato attribuirne a lui tutte le fattezze esentandone il centrosinistra: le tentazioni antipolitiche, la personalizzazione della leadership, la fede nella religione maggioritaria, corollari non secondari dei paradossi di cui sopra, nel corso del ventennio non hanno trovato né lasciato immune nessuno. 
Questa, in gran parte, è già  storia dell’altro ieri, solo in parte chiusa il 9 novembre scorso dall’archiviazione del Cavaliere. Resta da chiedersi quali particolari di quel “nuovo inizio” del ’92 vengano illuminati dagli esiti politici, anzi “tecnici”, di oggi, che anch’essi largamente ne dipendono. C’era una crisi economica drammatica allora (attacco speculativo alla lira, rischio di bancarotta, manovra Amato del ’93), c’è una crisi ancor più drammatica oggi (attacco speculativo all’euro, rischio di default, manovra “salvaitalia” di Monti). C’era un sistema politico in pezzi allora, proporzionalista e partitocratico, c’è un sistema politico in pezzi oggi, maggioritario e infarcito di partiti senza kratos. Ci fu, dopo due anni di inchieste, crolli e suicidi, un governo tecnico allora (Ciampi, 1993, nominato da Scalfaro), c’è un governo tecnico oggi. Ci fu, sotto l’azione delle procure, una pioggia ideologica battente contro l’intervento pubblico in economia e il welfare, identificati tout court con il malaffare la corruzione e lo spreco, e un affidarsi cieco al mercato “pulito” contro la politica “sporca”; ci sono la stessa pioggia e lo stessi affidarsi oggi. Ci fu la dichiarazione, scritta a tavolino e certificata da una legge elettorale, di fine di una Repubblica e di inizio di un’altra, c’è lo stesso progetto notarile oggi. La corruzione è sempre lì, la politica altro che rigenerarsi si è consegnata alla tecnocrazia, il mercato detta regole sporche. Fu vero inizio, e di che?


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E dai Radicali memorandum sui temi etici (La Repubblica, VENERDÌ, 12 GENNAIO 2007, Pagina 13 – Interni)

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