Scambiati per pirati e uccisi dai “marò” italiani

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Sembrava una brillante operazione militare, in poche ore è diventata un incubo diplomatico che rischia di incrinare i rapporti tra Italia e India. Mercoledì la Marina aveva annunciato che i marò del Battaglione San Marco schierati sulla tolda della petroliera italiana “Enrica Lexie” per proteggerla dagli assalti dei pirati erano riusciti a respingere un attacco nell’Oceano Indiano, al largo delle coste del Kerala, sparando raffiche di avvertimento. Invece due uomini sono morti, e secondo Nuova Delhi non si trattava di pericolosi pirati ma di Valentine e Pinki, due innocui e disarmati pescatori indiani a caccia di tonni. Avevano 21 e 50 anni, erano salpati il 7 febbraio su un peschereccio con altri nove marinai.
Un «incidente» che il ministro della Difesa indiano, Arackaparambil Kuryan Antony, definisce «un episodio grave e deplorevole» e che la stampa indiana bolla già  come un caso di «grilletto facile». L’armatore, Fratelli D’Amato, sulla pirateria ha il nervo scoperto: aveva appena tirato un sospiro di sollievo, a dicembre, per la liberazione della Savina Caylyn dopo dieci mesi. «Stavamo rientrando dalla battuta di pesca – racconta Freddy Louis, il proprietario della barca indiana – e dormivamo tutti tranne loro due. Ci hanno sparato addosso per due minuti, finché non siamo riusciti a portarci fuori tiro». Secondo l’equipaggio indiano, prima di sparare i militari italiani non li avrebbero nemmeno avvertiti, «violando le norme internazionali».
Accuse gravissime che hanno mosso il governo indiano a convocare l’ambasciatore italiano, e la guardia costiera a tracciare il mercantile “convincendolo” con due barche e un aereo ad attraccare al porto più vicino, quello di Kochi, per chiarire la vicenda. Ma la versione della Marina militare di Roma è molto diversa: «La dinamica è tutta da verificare – recita un comunicato – ma l’atteggiamento del peschereccio era chiaramente ostile, tipico dei pirati». Quel tipo di barca viene spesso utilizzata per giocare sull’effetto sorpresa: si è avvicinata con modalità  di abbordaggio «caratteristiche di quei mari. Un esempio: non hanno risposto ai segnali di avvertimento». 
Secondo Roma, i militari hanno chiesto al peschereccio di allontanarsi usando segnali luminosi e sonori. Tutto inutile. A quel punto sono partite raffiche «di avvertimento», sparate in aria o vicino alla barca: «Dopo la terza raffica il peschereccio si è allontanato senza danni evidenti». I nuclei del San Marco per contrastare la pirateria sono composti da quattro o cinque militari specializzati, e sono impegnati spesso nel Mare arabico e nel Corno d’Africa: li istituì, tra le polemiche, il governo Berlusconi, autorizzando la presenza sui mercantili di militari armati o di contractors privati disarmati. Sono «nuclei addestrati di un corpo d’élite – spiega Andrea Margelletti del Cesi – e non sono mai stati accusati di uso disinvolto delle armi. I comandanti del nucleo e dalla nave sono sicuri che quello colpito sia proprio un altro peschereccio». 
La situazione è delicata, e gli indiani feriti e «scioccati», come si definisce il presidente del sindacato dei pescatori. «La legge farà  il suo corso», li rassicura il ministro Antony. Ma la richiesta di attracco al mercantile italiano che navigava in acque internazionali resta così inusuale che l’ambasciatore Sanfelice deve sottolineare: «La nave è andata volontariamente nel porto di Kochi». E ora non è escluso che scattino sequestro e arresti.


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