L’ultima mossa di Assad
La notizia è passata quasi in sordina, tra le dichiarazioni di Anders Fogh Rasmussen sul non coivolgimento della Nato in Siria e le pressioni francesi sulla Russia per un nuovo voto al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Eppure ieri i media statali siriani hanno diffuso un comunicato di grande importanza. Il 26 febbraio prossimo si terrà un referendum popolare sulla nuova Costituzione siriana e, dopo tre mesi, si terranno elezioni legislative sulla base del multipartitismo. Comunicato che, di fatto, annuncia la fine del dominio assoluto del partito Baath, che dura dal 1963.
Forse persuaso dall’alleato ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, in visita la scorsa settimana a Damasco, il presidente Bashar Assad gioca la carta del consenso popolare. Pensa, evidentemente, che un «sì» massiccio alla nuova Costituzione metterebbe all’angolo l’opposizione più intransigente, il Consiglio nazionale siriano (Cns), e i suoi sponsor nel mondo arabo e in Occidente. Sempreché il referendum del 26 febbraio e le successive elezioni siano regolari, credibili e il regime non organizzi un voto fasullo.
Per fugare ogni dubbio, Assad dovrebbe permettere il monitoraggio indipendente del referendum e l’ingresso nel paese di osservatori elettorali internazionali. Deve dare il segno inequivocabile di una volontà di cambiamento, per spiazzare chi sta facendo di tutto per ottenere, presto o tardi, un intervento militare «stile Libia», mascherato da quei corridoi umanitari – da «aprire» all’interno del territorio siriano – che invoca la Francia di Sarkozy.
Secondo quanto si è appreso ieri, la nuova Costituzione sancisce che «il potere esecutivo spetta al Presidente della repubblica e al Consiglio dei ministri» e «la libertà è un diritto riconosciuto dallo Stato ai cittadini» e che «tutti gli attacchi alle libertà personali o alla sacralità della vita o alle libertà sancite dalla Costituzione rappresentano un crimine punito dalla legge». Nel testo si precisa che «la religione del presidente della Republica è l’Islam e il diritto musulmano è la fonte principale della legge» (una evidente concessione agli islamisti). Più di tutto si afferma che «il sistema politico è pluralista e si basa sul sistema democratico di elezione dei partiti e dei raggruppamenti che partecipano alla vita politica», che «il potere legislativo è rappresentato dal parlamento, eletto ogni 4 anni» e che il presidente non può ottenere più di due mandati, ciascuno di sette anni. Un bel salto rispetto alla Costituzione adottata dal Parlamento il 31 gennaio 1973 che all’articolo 8 sancisce che «il partito Baath (al potere dal 1963) dirige lo Stato e la società ».
Quale impatto avrà questa mossa di Damasco, non è facile quantificarlo in queste ore. Secondo il ministero degli esteri russo Lavrov, «la nuova Costituzione e la fine del dominio del partito unico sono un passo in avanti». Per Paul Salem, del «Carnegie Middle East Centre», è importante che Assad abbia annunciato riforme concrete, «ma è arduo credere alla fattibilità di un referendum sulla Costituzione mentre il governo combatte una parte dei suoi cittadini». L’annuncio di ieri sarebbe giunto «troppo tardi» per l’analista Mouin Rabbani. «Sei mesi fa avrebbe avuto un altro significato, oggi con i carri armati nelle strade, i combattimenti e bombardamenti ad Homs e Hama che provocano morti e feriti tra i civili, dubito che il referendum riesca ad avviare un processo politico vero e ad aprire il dialogo con le opposizioni». Fino a ieri sera l’opposizione siriana non aveva commentato la notizia. Washington invece ha prontamente bocciato l’annuncio del referendum, definendolo «risibile».
Andrà tenuto conto anche delle pressioni di varie parti regionali che vogliono la resa dei conti in Siria e sono pronte – anzi già lo fanno – a sostenere con rifornimenti di armi i disertori dell’esercito siriano. La monarchia saudita che vieta la costituzione di partiti politici e nega diritti fondamentali ai suoi sudditi, farà votare oggi all’Assemblea generale delle Nazioni unite una sua proposta di risoluzione che intima a Damasco di andare verso un sistema democratico e multipartitito. È solo uno dei paradossi di questa crisi siriana.
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